Soldi e successo? No, grazie!

Autore: Chiara Santi

Soldi e successo? No, grazie! Sempre più spesso si tende ad identificare alcuni obiettivi come creatori di felicità. Soldi e successo sono, per la gran parte delle persone, sinonimi di benessere e gioia.

Tuttavia, nella realtà, le cose non stanno affatto così.

Può sembrare un po’ la favola della volpe e dell’uva, un tentativo di autoconvincimento per chi non è ricco o famoso; invece le ricerche ci mostrano in continuazione come il mito della fama e dei soldi può rendere felici, al limite, più i venditori di oggetti di lusso che non i loro compratori.

Naturalmente, non è vero il contrario: essere indigenti non significa essere felici. Ma c’è un punto di benessere, quando si riescono a soddisfare serenamente i bisogni primari e anche qualche desiderio in più, oltre il quale maggiori somme a disposizione non aumentano la felicità.

Secondo Daniel Kahneman e Angus Deaton, bisogna distinguere due aspetti del soggettivo senso di benessere: il benessere emozionale, che si riferisce alla qualità dell’esperienza di vita quotidiana di un soggetto (frequenza ed intensità di emozioni come gioia, stress, tristezza, rabbia, affetto che rende la vita di tutti i giorni piacevole o spiacevole) e la valutazione della vita che riguarda i pensieri che hanno le persone circa la propria vita quando vi riflettono.

I risultati di una loro ricerca mostra come il benessere emozionale e la valutazione della vita abbiano correlati differenti.
Mentre l’ultima è più collegata al reddito e all’istruzione, il primo appare più dipendente da fattori come salute, accudimento, solitudine e fumo.

In sintesi, ciò che emerge, è che avere più soldi non rende necessariamente più felici, ma averne troppo pochi può certamente essere causa di sofferenza emotiva. 75.000 dollari sarebbero la soglia oltre la quale maggiori entrate non producono effetti sul benessere.
La cosa interessante è che questa soglia rappresenta il limite al di là del quale la ricchezza non riesce più ad aumentare la capacità dell’individuo di spenderla per ciò che lo fa stare meglio: passare del tempo con le persone che ama, evitare sofferenze e malattie, gustarsi il tempo libero.
Anche in questo caso, quindi, le cose che contano e che possono comprarsi con i soldi, sono comunque legate a sensazioni e relazioni e non ad oggetti.
D’altra parte (il che ci spiega perché le persone continuino a pensare che molti soldi le renderebbero felici), mentre l’aumento del reddito è correlato ad un incrementato benessere, ma fino ad un certo livello massimo oltre al quale i miglioramenti sono irrisori e contano molto di più altre variabili, la valutazione della vita continua ad essere legata all’aumento dei soldi incassati.

Mentre, cioè, il benessere che una persona sperimenta giorno per giorno si sazia arrivati ad un certo punto, l’idea che noi abbiamo della nostra vita, invece, determinata da ciò che una persona PENSA di sperimentare, non trova un limite, ma cresce al crescere del reddito ipotizzato.

Non siamo più felici, ma crediamo di esserlo. Non è finita qui. Uno studio recentissimo di Robert Waldiger, direttore dell’Harvard Study of Adult Development, espone i risultati di una ricerca longitudinale di ben 75 anni, il più lungo al mondo.
Che ci mostra come il miglior predittore di un invecchiare sano e felice non sono né l’eredità genetica, né il successo e i soldi, ma la qualità di legami e relazioni intime.

Chi, fra i partecipanti allo studio, era più socialmente legato a famiglia, ad amici e comunità, era più felice, stava fisicamente meglio e viveva più a lungo di chi aveva meno legami. Al contrario di coloro i quali, invece, avevano esperienze di solitudine.

Un altro dato importante, soprattutto nell’epoca dei social e delle “amicizie” forzate e a migliaia, è che non conta il numero, ma la qualità delle relazioni intime. Persino il dolore fisico si sente meno e si sopporta meglio quando i rapporti sono buoni e sereni.

Anche il cervello, la sua plasticità e il suo funzionamento sono fortemente influenzati dalla qualità delle relazioni personali.

Viene spontaneo chiedersi, quindi, quanto il consumismo sfrenato dell’era moderna e l’epoca social che ci porta ad avere migliaia di contatti fittizi, ma sempre meno tempo per quelli reali, possa influenzare il nostro benessere. Ancora una volta, se non bastasse il buon senso, la ricerca ci viene incontro per spiegarci che non è il cellulare all’ultima moda che ci renderà contenti, ma sperimentare rapporti veri, stabili, su cui contare.


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