Il valore del gruppo nell’esperienza individuale e sociale

Autore: Luigi Valera

Il valore del gruppo nell’esperienza individuale e sociale Sono psicoanalista di gruppo, Direttore dell’Istituto Italiano di Psicoanalisi di gruppo della sede di Milano, una delle quattro scuole attive nel nostro Paese.

Da più di trent’anni faccio parte di un’associazione, VIDAS ( Volontari Italiani Domiciliari per l’Assistenza ai Sofferenti) che ho contribuito a fondare. Poche note biografiche per spiegare il mio interesse professionale e personale nei confronti della realtà del gruppo e dei gruppi intesa come una risorsa vitale per l’approfondimento della conoscenza di sé e dell’altro in inscindibile relazione feconda. Ricorro alla incisività di una metafora per illustrare il mio pensiero. La traggo da un recente docufilm, sotto questo profilo, illuminante. La regista mostra, attraverso materiali e dialoghi autentici, l’inebriante atmosfera del festival internazionale del ballo popolare a Gennetine, nel cuore della Francia paesana e contadina del Massiccio Centrale. Sette giorni e otto notti di danze continue, valzer, mazurche, gironde, concerti. Niente di improvvisato, i ballerini e i suonatori si muovono secondo una severa disciplina. Apprendono a muoversi a passi cadenzati, a regolare il proprio ritmo al ritmo della musica e a quello del partner, a coppie, in quattro, in sei, in file e in cerchi. Apprendono a toccare e a farsi toccare senza invadere e farsi invadere, a usare il corpo per esprimere e non per sedurre, per ascoltare e farsi ascoltare al di là delle parole, a raccontare attraverso lo sguardo e la vitalità dei gesti. Cosa succede dunque nel ballo? Si scopre la necessità e la bellezza dell’altro, degli altri per dire di noi qualcosa di vero che si sa raccolto, rinforzato, condiviso, alla fine  trasformato per divenire patrimonio di tutti in una gran gara di umana comunanza. Quanto ho raccontato mi è servito per articolare il valore che io e la scuola attribuiamo all’esperienza del gruppo. “ L’uomo da solo parla e dice parole, nel gruppo parla e dice racconti. Il gruppo stesso è un racconto: il racconto di una fiaba, di una commedia, di un dramma, di un rito”. (F. Siracusano)

Perché c’è bisogno oggi ancora di rilanciare l’idea, meglio la filosofia del gruppo quando decenni ne hanno sperimentato la praticabilità come strumento conoscitivo e terapeutico?

Esiste una riconoscibilità sociale del gruppo? La domanda chiara e preoccupata è stata posta durante il dibattito seguito alla presentazione del libro Introduzione alla psicoanalisi di gruppo: frammenti di un discorso clinico a cura di IIPG durante la manifestazione Milano BOOK CITY. Il problema posto riguarda la necessità di incrementare la psicoanalisi di gruppo in mancanza di legami significativi all’interno dei gruppi tradizionali, familiari, sociali, associativi. La domanda sottintende la questione fondamentale della formazione dell’identità nella società liquida  nell’epoca della  complessità. Gli studi di Bauman e di Morin (per citare solo alcuni dei Maestri della contemporaneità ) ci orientano nella difficoltà a definirci e a decifrare il mondo intorno mentre tutto è in continua trasformazione e la realtà è un caleidoscopico alternarsi di vicino e lontano senza confini. Accanto ai gruppi tradizionali deputati ad accompagnare la crescita di un giovane individuo si fece strada negli anni Ottanta del secolo scorso l’idea che il lavoro di gruppo fosse uno strumento idoneo ad appianare le conflittualità e a promuovere nuova e solidale socialità. Erano gli anni della nascita di comunità terapeutiche per il disagio minorile o adolescenziale, per la cura dalle tossicodipendenze o delle malattie psichiche. Erano gli anni della formazione di operatori, di volontari, di familiari e assistenti, della rivoluzione basagliana e di quella nella cura del cancro con l’individuazione di reparti oncologici e la relativa messa in discussione della comunicazione medico-paziente. Insomma di fronte al ripiegamento conseguente ad anni di lotte e di terrorismo si fu capaci di risposte culturali innovative e feconde.

Lavorare in gruppo significava trovare soluzioni dal basso, rinsaldare legami, favorire inserimento sociale, scambiare esperienze, crescere in senso di cittadinanza, attuare sussidiarietà. Tutti questi valori, frutto all’epoca di scelte ideologiche e vocazionali, sono entrati in crisi per una serie molteplice di cause ma non hanno esaurito il loro potenziale propulsivo se siamo in grado di riattualizzare l’esperienza e di tradurla nei termini di una moderna consapevolezza del nostro rapporto col mondo. Riascolterei le parole del giovane partecipante al dibattito: “la forte individualità presente ai giorni nostri non richiede proprio un certo lavoro di gruppo per fare emergere ciò che non riusciamo più a dirci?  Se c’è un problema di vicinanza con l’altro nella vita di tutti i giorni ho bisogno di un gruppo e proprio di un gruppo di analisi. Non ce n’è più un altro”.

Imparare a pensare il pensiero, a ricostruire il senso di una esperienza, a verbalizzare in modo  condiviso  ciò che apparentemente è solo un’atmosfera impercettibile, ma che in realtà condiziona profondamente l’agire dei membri del gruppo, è il fondamento del lavoro del gruppo di analisi.
“Il gruppo si configura come un luogo adeguato all’amplificazione e intensificazione dei meccanismi di identificazione proiettiva e il gruppo viene valorizzato…..perché risulta come una rete di identificazioni proiettive multiple, dall’analisi della quale l’individuo può riconsiderare la costituzione del suo sé, dato che ogni individuo è in realtà costituito da un insieme di individui o parti individuali. In questo modo l’individuo immerso nel gruppo acquista la consapevolezza della sua struttura multipla e del suo essere multiplo anziché singolo (Correale, 1986).

La vita del gruppo, come del singolo individuo, si nutre di conscio e inconscio, trasportati da parole, sogni, collegamenti imprevedibili, orchestrati dal conduttore e trasformati in riti e miti.

In conclusione mi sembra che questo sia il valore aggiunto di un’esperienza che, esplorando e attivando le dimensioni profonde dell’io, consenta la transizione all’accoglienza del NOI, l’unica possibile non semplicistica risposta al superamento dell’atteggiamento individualistico e narcisistico dell’uomo d’oggi. Mi aiutano ad esprimere al meglio quanto detto le parole di una collega che ha vissuto intensamente l’esperienza del gruppo: accompagnare qualcuno nella propria isola natia dopo aver fatto un pezzo di tragitto insieme ed aver attraversato tanti luoghi e vissuto tante avventure, a volte terribili, a volte meravigliose cogliendo i brani sparsi di un’esperienza unica e irreversibile per ognuno di noi: LA VITA.


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