Quali sono i veri ‘limiti’ della conoscenza nei bambini ?
Autore: Valentina Menga

Attraverso l’esperienza del mio lavoro, nel corso degli anni, mi sono resa ancora più conto di come ogni bambino è unico e inimitabile.
Quello che spesso nella società di oggi facciamo è subito andare ad etichettare quel determinato atteggiamento e quella determinata risposta del bambino, all’interno di un immenso parametro di valutazione fatto di giudizi e soprattutto pregiudizi.
Maria Montessori parlava della mente assorbente, ovvero di quella mente ‘contenitore’ che di lì a poco avrebbe appreso l'inimmaginabile.
Una mente fatta di materiale grezzo da plasmare e da modellare, ai fini di tirar fuori il potenziale insito nella stessa.
Il compito di noi educatori è proprio quello di tirar fuori le potenzialità presenti in ognuno di loro, assecondando le loro inclinazioni, predisposizioni, capacità e soprattutto, ponendosi in quella zona di sviluppo prossimale (come la chiamava Lev Vygotskij ), tale da permettere al singolo una naturale progressione della sua conoscenza.
Tale zona, rinominata da Vygotskij come zona di sviluppo prossimale (ZSP), non altro è che la distanza presente tra ciò che il bambino sa (stato attuale delle cose) e ciò che il bambino può apprendere, sempre in termini di potenzialità.
Procedendo su questa linea di pensiero, ci accorgiamo di come sia importante per noi educatori porci con i migliori strumenti che possediamo: materiali ma anche e soprattutto di tipo pratico, legati sempre ad un file rouge teorico.
Tutto questo sarà ovviamente reso possibile grazie all’aiuto dello scaffolding. I primi ad utilizzare questo termine sono stati gli psicologi Wood, Bruner e Ross, nel 1976.
Con il termine scaffolding, facciamo riferimento a quel supporto, di cui ogni bambino ha bisogno ai fini di raggiungere il suo apprendimento potenziale.
Questo supporto è una figura adulta di riferimento: che in questo caso, si presenta sotto forma dell’educatore.
All’interno dell’asilo nido il bambino è pieno di stimoli (se pensiamo a quelli materiali presenti), ma l’abilità dell’educatore sta proprio nel saper combinare i medesimi in funzione di un apprendimento complessivo quanto più crescente e lineare.
Limitarsi a giochi banali e sterili, solo perché il bambino è considerato ‘troppo piccolo’ per determinati stimoli, ritengo sia qualcosa di limitante non solo per il bambino ma anche per le capacità dell’educatore stesso.
Parlare tanto, proporre sin da subito una grammatica ed un vocabolario corretto (privo di abbreviazioni onomatopeiche), parlare la lingua inglese e proporre la scoperta del mondo in modo curioso e interattivo: ritengo sia il miglior stratagemma.
Ovviamente questo non riguarda solo gli educatori intesi come professionisti, ma tutti quegli educatori che circondano il mondo del bambino in questione (genitori, zii, nonni, babysitter ecc.).
Abbiamo quindi oggi bisogno di professionisti che, oltre alle conoscenze e al proprio bagaglio culturale, mettano a disposizione: cuore, empatia e tanto, tanto amore.