Diagnosi DSA: cosa succede oggi

Autore: Valerio Giannitelli

Diagnosi DSA: cosa succede oggi In attesa del resoconto aggiornato con i dati di quest’anno, possiamo osservare un aumento esponenziale nell’andamento dei casi di diagnosi DSA nelle scuole primarie e secondarie di I e II grado.
 
Questi ultimi, infatti, sono aumentati dallo 0,9% nell’anno scolastico 2010/2011 fino al 4,9% nell’anno scolastico 2018/2019 (MI - DGSIS - Gestione Patrimonio informativo e Statistica - Rilevazioni sulle scuole).
 
L’incremento del numero nazionale di certificazioni DSA è notevole: da circa 94 mila a quasi 188 mila segnando un tasso di crescita del 99,8%.
 
A tutto ciò, non bisogna sottostimare il numero degli alunni a “rischio DSA” che, per motivi legati all’età[1], non possono ancora ricevere una diagnosi ufficiale di Disturbo Specifico di Apprendimento, bensì solamente una previsione della diagnosi ufficiale. Rispetto al totale degli alunni, infatti, quelli a rischio DSA compongono lo 0,23% del totale.
 
Le tipologie di disturbo attualmente prevalenti riguardano le diagnosi di dislessia (187.693 alunni), seguita da quelle di disortografia (101.744), discalculia (96.081) e disgrafia (87.859), con un’incidenza maggiore nel centro-nord del paese.
 
Come mai si osserva un incremento progressivo delle diagnosi di DSA negli alunni? Cosa giustifica questo trend? Possiamo definirlo un trend “positivo” o “negativo”?
 
La risposta potrà sembrare semplice: una diagnosi non viene mai vissuta in maniera gradevole da nessuno, sia dalle famiglie degli alunni che dagli studenti stessi.
 
È necessaria però una riflessione più ampia: l’aumento delle diagnosi DSA, se correttamente effettuate, rispecchia l’avanzamento delle conoscenze scientifiche da parte dei professionisti della salute, nonché una maggiore sensibilizzazione sul tema, sia da parte delle istituzioni scolastiche che politiche.
 
Ricevere una diagnosi di Disturbo Specifico di Apprendimento permette all’alunno di usufruire di misure dispensative e compensative atte a permettergli di sviluppare appieno le sue potenzialità. Non si tratta di ragionare nella logica del “migliore” o “peggiore”, bensì in quella della “molteplicità”, dove ciascuno studente vede riconosciuto il proprio diritto di mettere in gioco le sue capacità utilizzando forme alternative di espressione; queste abilità, in situazioni di disconoscimento, rimarrebbero sepolte e lo studente non potrebbe esprimersi nella sua autenticità.
 
 
Un esempio tratto dalla mia pratica professionale: Marco (nome fittizio), 8 anni, è un bambino molto intelligente, empatico (come direbbe Goleman, possiede un’elevata intelligenza emotiva[2]) e socievole.
È stato portato in consulenza dalla famiglia dopo ripetute sollecitazioni da parte della scuola, che lamenta problematiche comportamentali e attentive da parte del bambino, nonché difficoltà nell’apprendimento della letto-scrittura.
Successivamente a una valutazione degli apprendimenti e delle abilità attentive e comportamentali, Marco riceve una diagnosi di dislessia e di disturbo dell’attenzione.
 
Cosa è successo dopo? È stata richiesta certificazione alla Asl di riferimento ed elaborato un Piano Didattico Personalizzato (PDP) che permettesse al bambino di usufruire di misure dispensative e compensative. Successivamente, insieme a Marco, abbiamo effettuato un percorso di potenziamento degli apprendimenti che ha migliorato le sue capacità sia di lettura che di attenzione.
 
Qual è stato il risultato finale? Marco ha sviluppato una maggiore stima di sé ed ha imparato a prestare una maggiore attenzione in classe, conseguentemente all’utilizzo di modalità alternative di apprendimento (ad esempio: maggiori pause durante lo studio, utilizzo di smart pen per prendere appunti ed evitamento della lettura ad alta voce in classe). I suoi voti scolastici sono migliorati notevolmente, superando il giudizio “sufficiente” alla fine del secondo quadrimestre.
 
Quale messaggio voglio trasmettere: una diagnosi efficace di DSA ha permesso a Marco, come permetterebbe a qualsiasi altro studente, di esprimere autenticamente le sue abilità che fino a quel momento erano state bloccate da modalità di apprendimento alternative poco affini al suo “saper essere” e “saper fare”. Per intenderci, è come chiedere a un attaccante di calcio di giocare in porta: vi aspettereste mai la stessa performance?
 
Se effettuate in maniera corretta, le diagnosi DSA permettono a ciascun alunno di esprimere appieno le sue potenzialità e di raggiungere i propri obiettivi, scolastici, accademici e professionali. 
[1] Si ricorda come l’ottenimento di una diagnosi di Dislessia e/o Disortografia richieda che l’alunno sia in procinto di terminare, o abbia terminato, il secondo anno della scuola primaria. Differentemente, per la diagnosi di Discalculia è richiesto il completamento del terzo anno della scuola primaria. [2] Per un approfondimento, si rimanda a Daniel Goleman: “Intelligenza Emotiva” (Rizzoli Editore).
 

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