Workaholism: la dipendenza da lavoro

Autore: Giordano Gentili

Workaholism: la dipendenza da lavoro Cosa significa il termine workaholism?
Workaholism e work addiction sono i neologismi con i quali viene indicata una delle dipendenze più nascoste all’interno della nostra società, infatti essa è legata ad una normale attività che caratterizza la vita di ogni persona, ossia il lavoro. Il termine Workaholism è stato introdotto da Oates nel 1971 (cit. in Lavanco & Milio, 2006, pp. 23-25; Castiello d’Antonio, 2010, pp. 131-135; Guerreschi & Marazziti, 2005, p. 77-79) come risultato dell’unione delle due parole Work e Alcoholism e sta a descrivere la dipendenza dal proprio lavoro, specificata da un forte desiderio a lavorare incessantemente fino ad incidere sulla salute, sulle relazioni interpersonali e sul livello globale di felicità personale (Castiello d’Antonio, 2010, p. 131). Il dipendente da lavoro viene definito workaholic e utilizza il lavoro come modalità per alleviare sentimenti di ansia, vuoto e bassa autostima, cercando di impegnarsi notevolmente nell’attività lavorativa per avere la sensazione di valere molto (Guerreschi & Marazziti, 2005, p. 79).
 
Come si manifesta il workahoslim
Il workaholism è un tipo di dipendenza che si manifesta in maniera molto ambigua in quanto nonostante rechi danno alla persona, e a coloro che la circondano, essa è comunque mantenuta in alcuni contesti e addirittura promossa, non a caso Robinson (1998 cit. in Castiello d’Antonio, 2010, p. 132-133) la definisce come la well-dressed addiction (in Italiano è letteralmente tradotto con la dipendenza ben vestita) e sta ad indicare una dipendenza che però non sembra tale, ma al contrario, risulta come un pregio del lavoratore, a conferma di ciò, è il fatto che in qualche organizzazione è addirittura richiesta una sorta di dipendenza in quello che si fa all’interno dell’azienda, infatti l’etica del lavoro incoraggia tale fenomeno poiché un individuo che passa la maggior parte del tempo a lavoro e che, nonostante il rientro a casa, continui a pensare al lavoro non sembra essere vittima di una patologia ma bensì, in alcuni casi, il suo comportamento gli permette di ricevere denaro, potere e prestigio, andando così anche a rinforzare questa dipendenza (Guerreschi & Marazziti, 2005, p. 79).
 
Quando il l lavoro diventa una droga?
Il lavoro diventa una droga quando il soggetto ha totalmente perso il controllo sulla sua attività di lavoro, non riesce né a darsi delle regole né ad accettare i suoi limiti e percepisce una forte necessità di fare sempre di più a discapito delle persone che vivono intorno a lui (Guerreschi & Marazziti, 2005, p.80).
Diane Fassel (1990, pp. 17-23), in particolare, ha individuato quattro tipi di workaholic con un’ottica differente rispetto ai suoi predecessori:

- Il lavoratore compulsivo: è il primo ad arrivare a lavoro e l’ultimo ad andarsene, difficilmente si prende qualche settimana di ferie e se anche lo facesse si porterebbe dietro il lavoro, ha un atteggiamento compulsivo verso il lavoro impegnandosi anche quando non ha nessuna richiesta da parte della sua organizzazione lavorativa ed è caratterizzato da una continua ricerca del perfezionismo in ciò di cui si occupa. Questo tipo di lavoratore sentendosi incompreso dai suoi familiari, che lo vorrebbero più presente in famiglia, si arrabbia e tende a mentire su la sua situazione lavorativa utilizzando la giustificazione dell’urgenza del compito lavorativo in cui è impegnato;

- il lavoratore frenetico: è caratterizzato da un’oscillazione tra momenti di tranquilla gestione del lavoro e alcuni picchi di lavoro, perciò, per un periodo di tempo determinato non lavora eccessivamente e non presenta avere particolari disturbi lavorativi e in altri momenti di vita, invece, sente il bisogno di riversarsi sul lavoro. Nella fase di intenso lavoro, la persona perde di vista tutto ciò che la circonda, è orientata solo ed esclusivamente alla propria attività lavorativa andando, a volte, a trascurare altre esigenze fisiche o psicologiche. Il lavoro è visto come una medicina per sofferenze nascoste;

- il lavoratore nascosto: egli è consapevole che c’è qualcosa di disfunzionale nel rapporto che lui ha con il suo lavoro, le persone che ha intorno gli fanno notare alcuni suoi comportamenti rispetto al lavoro e proprio per questo inizia a nascondere la propria attività lavorativa. Fassel divide il lavoratore nascosto in due tipi differenti: il primo è quello che nascondete letteralmente il lavoro al proprio compagno/coniuge mentendo su quello che sta facendo e su quello di cui si sta occupando, il secondo, invece, manifesta la volontà di risolvere il suo problema con il mondo lavorativo alla sua famiglia, ma in realtà, non attua nessuna strategia per trovare una soluzione e quindi di nascosto continua a lavorare;

- infine, l’ultimo di tipo di workaholic è l’anoressico del lavoro, caratterizzato per rifiutare l’oggetto di dipendenza e perciò si instaura un meccanismo di evitamento del lavoro, proprio come nel disturbo di alimentazione anoressico. Questa forma di workaholism è contraria a tutte quelle fino a qui citate, in particolare l’anoressico del lavoro è un dipendente dall’evitamento del lavoro che, per l’esigenza da perfezionismo, si trova incastrato in un’aspirale di inattività guidata dalla paura di sbagliare e dando vita a sensi di colpa che lo paralizzano ancora di più (Fassel, 1990, pp. 17-23).

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Riferimenti bibliografici:
- Castiello d'Antonio, A. (2010). Malati di lavoro: Cos'è e come si manifesta il workaholism. The cooper files. Cooper.
- Fassel, D. (1990). Working ourselves to death: The high cost of workaholism, the rewards of recovery (1st ed.). Harper.
- Guerreschi, C., & Marazziti, M. (2005). New addictions: Le nuove dipendenze. Problemi sociali d'oggi: Vol. 11. San Paolo.
- Lavanco, G., & Milio, A. (2006). Psicologia della dipendenza dal lavoro: Work addiction e workaholics. Psiche e Coscienza: collana di testi e documenti per lo studio della psicologia del profondo. Astrolabio.
 

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