Una legge inumana

Autore: Maria Grazia Aggio

Una legge inumana Ci si può chiedere: Come ci sta? E Dove si mette lo psicologo a un'udienza del tribunale penale?2 Che cosa connette l'atto analitico dello psicologo ed il modus operandi decisivo e improrogabile che caratterizza l'aspetto operativo del giudice?
Nella realtà il rito processuale è una miniera di atti di parola e proviamo a vedere il perché.
Sapendo che, nel tentativo di rispondere esponendo e sviluppando seppur in minima parte questi pochi e leciti interrogativi, possiamo incorrere in malintesi che sono concettuali e formali.
Proprio per questo non è da confondere l'atto analitico e l'atto psicoterapico.
Si può dire che essi sono diametralmente agli antipodi, sia negli assunti che per procedura, in quanto per la psicoterapia l'atto di cura risponde al qui ed ora della situazione soggettiva, per costruire una rettifica del sintomo a partire da una rivisitazione del comportamento nei termini della condotta e dell'adattamento della persona soggetta alla psicopatologia.
La denominata psicologia dell'io, appunto, si occupa di rendere l'io individuale ragionevole, e opera là dove il sintomo si sostituisce in tutto o in parte al controllo della struttura della personalità per “la maturazione degli istinti e della morale come sigla Lacan.
Meglio si deduce dalla psicologia comportamentista, che intende stabilire la cura sui significati recati dalla consapevolezza del momento, qui e ora, ma rivolge il cambiamento soggettivo alle abitudini mentali che procurano disagio dal punto di vista organizzativo, quindi si rivolge alla sfera di disturbi funzionali e visibili che espressi negli attacchi di panico, i disturbi legati all'ansia, ai fattori di stress e relativi al sonno, i rituali compulsivi, le forti paure improvvise e inspiegabili delle fobie, per citarne solo alcuni.
Ma quella parte della psicologia che sceglie l'orientamento psicoanalitico sa bene che, come è ben espresso dal S. Freud, “l'io non q padrone in casa propria” anzi q esso un nucleo della personalità che fa da sintesi e da mediazione fra il primordiale inconscio, il superio regolativo e la realtà esterna.
Del resto sappiamo bene che seppure gli individui presentino abitudini poco efficaci sul piano organizzativo, produttivo ed esistenziale del comportamento, siano essi bambini a cui impartire limiti regolativi, tossicodipendenti come tabagisti o alcoolisti, persone che contraggono fobie o difficoltà che s'individuano nei disordini alimentari, per tutti si tratta di smettere, ognuno per ovvi motivi, con l'utilizzo di una abitudine che prima di tutto è di ordine mentale. Dato che una volta spiegata e capita la convenienza a con smettere determinate abitudini della condotta, la difficoltà ad iniziare e a perdurare nel progetto del cambiamento rende chiaro che le scelte stanno a livello profondo ed inconscio. Quindi capire sul piano logico la convenienza non basta, ma bisogna comprendere motivazioni che provengono da una sfera del tutto emotiva del primo tempo della vita, ma dimenticata, appunto, per difendere da una sofferenza prodottasi, e da un ricordo scomodo.
Vediamo bene che in tutti si presentano difficoltà che alla logica dei fatti sono inspiegabili, poiché provengono dall'inconscio, che è la sede del di tutto ciò che è rimosso.
Perciò questa parte della psicologia soprannominata psicoanalisi del profondo, rimane fedele all'approccio ortodosso del suo fondatore S. Freud, e continua ad utilizzare la regola fondamentale che lascia la parola al paziente e alla libera associazione.
La parola del paziente diviene il testo unico su cui ci si mettere al lavoro nella presa in carico e nella direzione della cura. Nelle sue interpretazioni il medico psicologo si confronta continuamente con quanto c'è della parola del paziente. Quanto scaturisce nella dialettica fra medico e paziente, come dice ancora Freud nei termini della “parola espressa”, dirigere la cura e orienta al reperimento della struttura sintomatica.
 
1.
Nello specifico, la presa in carico ad orientamento lacaniano prevede inoltre che vengano effettuati dei colloqui preliminari prima dell'inizio della cura vera e propria.
In quanto che, ogni persona presa dai propri effetti sintomatici, nella prevalenza dei casi non si rende consapevole e tanto meno responsabile dei propri atti, ed è portata ad attribuire ad altri cause ed effetti della propria sofferenza.
Secondo l'orientamento analitico la responsabilità è, come a dire, congelata alla coscienza.
Nel senso che, ai primordi e su prima istanza, durante le prime fasi dello sviluppo, la responsabilità, intesa come la legge che pone il soggetto a essere abile, nel senso decisionale, presso se stesso, non è riconosciuta tale.
La persona, ad un certo punto dei primissimi anni della vita, ha vissuto un atto di desautorazione che rispetto alla propria esistenza, per il quale egli percepisce, vive ed esiste solo e unicamente come oggetto all'interno dell'esistenza di una o di entrambe le figure primarie, la madre e il padre, e oltre il quale trovare un modo per far evolvere un simile tipo di legame senza produrre a se stesso un grave scompenso affettivo. La fragilità della forza del sentimento di sé o disistima, ha manifestato un disagio che si è cristallizzato.
L'immaturità mentale dei primi anni di vita, lascia le esperienze infantili prive di ricordo e di consapevolezza, ma non per questo esse producono i loro effetti per il resto dell'esistenza a venire, e su queste basi si impostano i legami affettivi e relazionali nell'età adulta.
Ecco perché Lacan ritiene importante il lavoro preliminare, che serve a stabilire e chiarificare quel canale di trasmissione fra medico e paziente, per il quale si definisce un'alleanza che sta prima di tutto nella fiducia, chiamato in termini analitici viene transfert, sulle cui basi poggia la rettifica della responsabilità del paziente, che tratta di una assunzione consapevole di atti e scelte pregresse.
Argomentando una citazione di Jacques Lacan4, un atto di parola, ha luogo da un dire che è quello del paziente, a cui il medico psicologo dona-un-più-di-senso che lo trasforma da atto di parola del paziente, che espone il suo sapere di sé, per quel che gli è noto e consapevole, in atto di reperimento sintomatico, che modifica una consistenza logica.
Nella pratica dell'analisi ciò che non era possibile reperire consapevolmente viene individuato e assunto presso la responsabilità soggettiva del singolo, e così facendo la persona entra in una nuova logica ideativa e di pensiero. È un nuovo scenario della logica mentale dell'individuo.
Su queste basi si può operare una ridefinizione soggettiva, ossia una riqualificazione individuale che è del tutto personale. Solo in un secondo momento, dopo una solida e durevole rettifica soggettiva, la persona dichiarata colpevole, è in grado di essere moralmente sufficientemente forte per poter comprendere in pieno perché è arrivata in un'aula di un tribunale, sostenere le accuse, reggere una sentenza, e operare una riabilitazione anche agli occhi della comunità di appartenenza.
Prima di tutto ciò si è portati a pensare che ognuno, che sia dichiarato fragile al punto da compiere azioni che vanno oltre i limiti, non solo del lecito ma anche della morale, ha la tendenza a non ammettere e più spesso a negare i fatti, anche se con esposte le prove a carico.
Ormai sappiamo che la mente ha molti modi per difendersi, negando, misconoscendo, attribuendo ad altri la responsabilità di cause ed effetti, addirittura dimenticando fatti o distorcendoli con amnesie che proteggono il piano affettivo dall'orrore e dal raccapriccio.
La prima fase è di individuare, scoprire e potenziare le proprie competenze personologiche, psicologiche e umane. Solo dopo, si è in grado di pensare e costruire mezzi personali, che stanno in abilità mentali, e avere un discernimento tale da poterli impiegare in modo lecito.
Ritornando a Lacan, egli ripresenta e sostiene l'insegnamento di S. Freud passo passo.
Se il medico psicologo lascia che il paziente parli di sé, durante la seduta quanto viene a dirsi, ha in sé una enunciazione significante che veicola il messaggio che è ancora nell'inconscio, ma che rimane dietro a quanto viene detto, ossia a quanto viene espresso nella parola, a cui però il medico psicologo, opportunamente formato, può attribuire un significato che costituisce parte di una verità individuale che si è creata da una esperienza di sofferenza ,che spinge oltre ogni limite accettabile.
Quindi, sarà quanto s'intende, ossia ciò che rappresenta l'inteso nell'ascolto dello psicologo a dare senso plausibile alla verità individuale del parlante, che pure rimane ancora inconscia. Appunto, il più-di-senso dello psicologo tenta di decifrare gli enigmi di un comportamento e pone il pezzo mancante a qualcosa che è inspiegabile e malamente etichettato.
Dunque, quando c'è atto di parola, anche già nei colloqui conoscitivi e investigativi della personalità, durante i lavori di consulenza, si può produrre quel momento magico, di produzione di senso da parte dello psicologo.
Sono questi momenti fecondi per la persona, la quale percepisce che può essere creduta da qualcuno ad un livello molto profondo, e perciò pensa di poter credere a sua volta, e là dove in precedenza non è successo può far si che si crei una presenza stabilizzante che dona un desiderio partecipante.
Così si apre Il discorso della clinica del medico psicologo, e solo per questa via si può intendere quanto sottende il sapere individuale su quella che è la verità particolare del parlante, che non lo dimentichiamo è una la persona in attesa di un giudizio da parte di altri.
Un sapere e una verità che appartengono ancora all'inconscio, insieme formano la legge individuale, che governa e orienta l'esistenza e le scelte di ciascuno.
Abbiamo così inquadrato gli attori del percorso di cura, il medico psicologo ed il paziente.
Ma abbiamo anche inquadrato i termini di un incontro del tutto ed irripetibile se c'è un'alleanza.
 
2.
Di questo incontro con l'inspiegabile della persona, il medico psicologo che entra in un’aula di tribunale, deve al giurista o all'avvocato una restituzione argomentata in termini di perizia o di consulenza, che appura le abilità e le competenze della personalità.
La persona, non ha fatto richiesta di interventi o di cura, poiché come spesso accade, non ha individuata consapevolmente una sua sofferenza, ma sosta in un’aula di tribunale in attesa di una sentenza che giudichi un operato che altri hanno considerato iniquo per la società.
Così dicendo vediamo allora che una verità, un sapere, e una legge, la cui sostanza è completamente diversa e per nulla complementare alle prime due.
La legge della parola e del linguaggio cui si attiene il medico psicologo.
La legge dell'inconscio individuale che regola i passi della persona con psicopatie, con nevrosi ossessiva o compulsiva di tipo grave, o con psicosi in cui sia presente una disabilità che lasci ben poco margine alla capacità di adattamento sociale; come pure, ma su basi cliniche totalmente diverse, nelle dipendenze da sostanze, possiamo vedere meglio espressi gli aspetti della condotta priva di limiti morali a fronte della spinta inconscia individuale che oltre il lecito.
Dietro simili comportamenti opera una spiegazione che non è consapevole ma plausibile che trova espressione nella legge del significante inconscio: essa assume modalità superegoica e imperativa, e impone una libertà d'azione che non fa i conti con le conseguenze sociali, ma, soprattutto, fa non lascia margine a scrupoli, a vergogna, a riflessione, e coscienza.
Appunto, come dice il titolo, è una legge inumana, che proviene dalle fondamenta primordiali dell'essere che è per sé, e dal primitivo parimenti al selvaggio che dimora in ognuno, ma che fa terra bruciata attorno a chiunque voglia darle ascolto, e perciò lascia la persona sola, isolata ed esclusa da legame sociale.
Se nell'età dello sviluppo non c'è stato l'instaurarsi delle istanze morali con sufficiente inibizione adattativa, al simile ed al sociale, così si esprime la condotta amorale, caratterizzata aggressività naturale malcelata, perché libera ossia non connessa ai vincoli del simile, la quale, prima che al malvagio, risulta priva dei tempi imposti dall'iter educazione che impone primariamente l'analisi del momento della congettura, la riflessione, e poi il tempo attuativo.
In sostanza nella psicopatologia grave, sia negli effetti temporanei dei breakdown psicotici oppure continuativi nel tempo, vediamo che non si istituiscono i parametri che precedono e sanciscono il contatto con la realtà condivisa se non in modo esiguo e instabile. I tempi dell'educazione non sono stati percepiti e introiettati sufficientemente.
Quindi, dobbiamo partire certamente dal fatto che esiste solo un reale individuale che spinge all'azione impulsiva e compulsiva e che impone un irrefrenabile: “Godi!”, come espressione di puro godimento individuale acefalo.
A tutto ciò dobbiamo accostare, per forza, perentorietà e determinazione l'azione del giurista e del codice, che esprimono la modalità l'altrettanto imperativa del diktat proibizionista della Legge, uguale per tutti, che dice il suo: “No!”, che è dedicato alla restaurazione di un ordine sociale e di comunità, piuttosto che al furor proibendi che invoca e dispone un: “Pentiti!”
 
3.
Fra le due parti, la persona comune ed il giudizio della Legge, proprio nel mezzo, ci può stare ciò che può fare il medico psicologo per illuminare quella zona in ombra che rappresenta il luogo da dove proviene quanto sfugge al senso. Si tratta di produrre un avvicinamento tra la persona, che nell'attualità dentro di sé non vede altro che comportamenti devianti, e la società che si protegge e si regola attraverso il sistema giudiziario.
Su questo terreno ci si deve chiedere: Che cosa è avvenuto? Perché una persona non arriva a pensare, ancor che minimamente, di avere possibilità di scelta? Perché non arriva a dire: “Io posso scegliere.” E perché questo detto non arriva ad essere enunciato, e non è rubricato entro la realtà condivisa, ma per certe persone rimane utopia.
Mentre invece, alla coscienza si affaccia l'enunciazione del noto significato: “Non ho via d'uscita.” Abbiamo visto, con il dispositivo dei preliminari della presa, in carico che l'atto morale prende spazio e si ordina solo a partire dall'atto trattato nei termini analitici della rettifica soggettiva, ossia dell'assunzione personale della responsabilità rispetto a fatti dichiarati non leciti, che si basano su un modo di strutturare la realtà non comprensibile all'interno della logica causa-effetto.
Possiamo comprendere che solo dopo questa azione si produce uno spostamento logico che permette la rivisitazione soggettiva dei propri atti.
Per il medium della rettifica soggettiva, la persona in attesa di giudizio o già giudicata, può vedere consapevolmente quale sia la sua parte nel disegno che la coinvolge in accadimenti diventati materia di giustizia.
Senza  per  altro  illuderci,  di  là  dell'avere  compreso  definitivamente  quella  molla  inconscia dell'insaziabilità interdetta alla coscienza, rimane a copertura la spinta dell'angoscia sintomatica espressa nelle azioni misteriose e inconsulte dell'acting-out e idel passaggio all'atto colpevolizzate.
 
4.
Dopo questa presa di responsabilità, che interviene nel profondo, la persona potrà fare un percorso di lavoro nella cura e recuperare, ristabilire e stabilizzare un equilibrio psicologico interrotto dalla ingerenza psicopatologica.
Vediamo bene che tra due verità che si contrappongono, quella della persona in attesa di giudizio o giudicata, e quella del giudice, nella perentorietà del loro agire, non si offre che poco margine per inserire quell'operatore di cambiamento, se con il lavoro di analisi, per mezzo del quale si trasforma un reale singolare e del tutto personale, ma illecito e distruttivo per sé e per gli altri, in un progetto di cura che ricollochi soggettivamente, e renda riconoscibile ad un individuo il suo proprio sforzo esistenziale in seno alla comunità.
È necessario che intervenga una vera e propria traduzione sistematica dei fatti attuali che siano inquadrati prima ancora come fatti psichici per restituire la persona alla sua propria storia interiore dimenticata; così facendo ci sarà una seconda restituzione, ma questa volta della persona a se stessa che troverà un proprio tempo ma come soggetto, e non più come oggetto di altri.
La storicizzazione è una fase del lavoro di cura, che ristabilisce i termini di una presenza consapevole e responsabile, ricolloca così la persona come soggetto delle proprie scelte e non più come oggetto nei progetti di altri.
In questa fase sono presenti in modo consapevole le caratteristiche personologiche, psicologiche e morali, nelle abilità sperimentate come propri mezzi, su cui costruire una logica che dal disturbo sintomatico conduce la persona a riconnettersi con la realtà.
 
5.
Vediamo che sin dagli inizi del suo insegnamento Lacan si rivolge alle psicosi, e prende in esame anche casi delittuosi che rimarranno controversi alla magistratura e alla criminologia, e che per molto tempo hanno sollevano l'orrore dell'opinione pubblica anche internazionale, per citarne uno fra tutti ad esempio, è il caso delle sorelle Papin, in Francia.
L'insegnamento di Lacan tratta in buona parte dei fondamenti psicopatologici delle psicosi e delle nevrosi di tipo grave, e la dimensione strutturale della diagnostica nei suoi legami con l'uso della parola e del linguaggio.
La psicosi ordinariamente si caratterizza per una identificazione del tutto immaginaria e poco concreta dell'io fortemente esistenzialista, là dove s'esprime una personalità fragile e che per questo utilizza modalità dure e crude specie nei rapporti con gli altri.
I legami e le relazioni sono basati su regole ferree centrate su un sapere rigido e inappellabile pena l'espulsione repentina dai rapporti che restano di tipo sommario e superficiale.
Per queste persone la comunità non è fatta di individui che vivono una loro personale realtà, ma è essa un insieme come dire da collezione, nel senso che le persone sono notate per il loro aspetto prettamente formale, deprivato del piano affettivo, così non ci sono le basi del legame affettivo. Si vede bene allora che il linguaggio della persona con psicosi, il suo uso e utilizzo, nasce, progredisce e si fa parola ma non per dire qualcosa da comunicare. L'interlocutore non è percepito come differente da sé, come a dire che gli altri e nelle loro differenze non esistono.
Il linguaggio nella psicosi è solo ed esclusivamente autoreferenziale. Essi cioè si percepiscono unici, e totalmente svincolati, e fuori da ogni possibile insieme dei simili.
All'altro sociale si attinge per collezionare le regole che non sono intese e vissute come norme del vivere civile e condiviso, ma forniscono invece cliché escatologici, senza dei quali, nella psicosi, si è
come fortezza vuota, e non sa cosa fare in modo autonomo della propria vita. Questo tipo di persone sono sempre nella ricerca continua di un riferimento e un orientamento esistenziale, durante la
giornata fanno in modo di incontrare una serie infinita di persone, si fanno spesso conoscere per la disponibilità, ma il loro rapporto è e resta superficiale, senza scopi personali e passioni che lo rendano profondo.
Dunque, per queste persone, il vivere condiviso non cortocircuita un legame affettivo vero e proprio, ma è il terreno dove trovare le regole di comportamento intese esse per il solo aspetto formale cui potersi uniformarsi, che si cristallizzano, prive di capacità di riflessione di una critica  che le soggettivi in esperienze di crescita.
Ribadiamo che per una concezione esistenziale così importata le regole del comportamento non sono le norme del vivere civile e condiviso. E che l'altro sociale è difficilmente distinguibile da sé.
Se agli elementi di questo quadro strutturale della personalità così esposti associamo i termini della persecutorietà, l'altro sociale assume la connotazione del diverso da sé, a cui attribuire cause negative, da cui ci si deve difendere, e a cui non credere se non con sospetto.
Lacan già nel 1936 con la sua tesi di specializzazione in psichiatria si occupa delle psicosi, e riesce ad elaborare le prime teorie sui temi dell'individuazione soggettiva e dell'espressività sintomatica che all'inizio sono difficilmente comprese, poiché esse si basano su assunti scientifici freudiani quasi totalmente tralasciati dalla psicologia generale, che preferisce dare spazio a quanto sussume la teoria dell'io autonomo.
Con Lacan si arriva ben presto a comprendere che nella persona con struttura psicotica il messaggio espresso nell'interlocuzione non prende le vie dello scambio interattivo, ma assume le caratteristiche di un circolo intimista, che esclude l'altro sociale proprio per via della diversa forma strutturale della personalità, rispetto ad esempio alle nevrosi.
Così con la psicoanalisi di Freud, attraverso una pratica psicologica che trova i suoi fondamenti a partire dalla parola e con il supporto della linguistica, Lacan trova il punto di accesso determinante per scoprire la struttura delle psicosi, e le sue leggi.
Per far questo i suoi studi si estendono alle altre discipline e tecniche dove trova correlazioni pertinenti tra le forme espressività che la mente ha potuto produrre in termini di applicazione scientifica, quindi tra gli interessi specifici si annoverano la giurisprudenza, la letteratura e l'espressività artistica nelle sue diverse forme, l'antropologia, la logica, la filosofia, la matematica, la fisica, la cibernetica.
 
6.
Vediamo che nel suo insegnamento Lacan, proprio là dove parla delle psicosi, propone di rifarsi agli studi del giurista John Austin, in particolare in quella parte dove si teorizzano gli atti performativi. John Austin5 nel 1955 insegna alla Harvard University, e tiene le sue lezioni di giurisprudenza che in seguito diventano famose sotto il nome di William James Lectures.
Austin è fautore dello jus in civitate positum, detto il diritto positivo, che si basa sulla preminenza dell'attività di legislazione, ossia la produzione di leggi, rispetto alla preminenza della Legge formata dal Parlamento, e quindi dagli atti emanati dal Potere esecutivo.
Questo per salvaguardare il cittadino nei suoi diritti pubblici soggettivi, attraverso un ordinamento razionale costituito da norme generali coerenti e gerarchicamente coordinate, le quali mettano in opera una trasformazione sociale per il tramite delle leggi.
La teoria austiniana distingue una ricca classificazione dell'atto linguistico. Qui nominiamo solo alcuni detti: verdittivi, esercitivi, commissivi, comportativi, espositivi.
Essi possono essere impliciti o espliciti, se in assenza o presenza di trasgressione sono definiti atti felici o infelici, e ci sono diverse forme di felicità o infelicità dell'atto.
Non andiamo oltre nel descrivere altre caratteristiche, ma è importante rilevare, per il loro tramite,
che Austin scopre un utilizzo delle parole tra i parlanti che va oltre il significato verbale specifico e ne vede l'uso contestuale, che per Lacan ha similitudini con la parola d'ordine.
Per fare ciò, Austin si vede costretto a dichiarare letteralmente non applicabile buona parte della teoria del linguaggio proveniente dalla linguistica compresi i correlati alla filosofia e alla logica, dove si intende disporre l'impiego di “significato” ed “uso” della parla nel linguaggio.
Come riporta Lacan, in Austin ogni parola intesa nella frase del linguaggio quotidiano è presa nella sua dimensione polimorfa. Ogni parola si diversifica e diversifica significati e usi contestuali.
Dunque, “il dire q un fare”.
Nella sostanza, ciò che a parere di Lacan accomuna il giurista allo psicologo, è il reperire la parola e l'atto ad essa collegato, ma sul piano dell'inconscio.
Operazione questa che interviene, fin da subito e per tutta la procedura della tecnica analitica, nei colloqui preliminari della rettifica soggettiva, nella presa in carico e nella direzione della cura con l'individuazione ed il reperimento sintomatico e nella di storicizzazione e riqualificazione soggettiva individuale e sociale.
Con J. Austin, specificamente nella parte delle sue teorie riservata al linguaggio, l'atto di parola trova applicazione degli assunti delle teorie della linguistica moderna fondata da F. de Sussure.
Ma, mentre F. De Sussure individua le leggi della parola e del linguaggio teorizzandoli sul piano astratto, con Austin la linguistica degli anni '50, analizza il linguaggio comune in campo giuridico. Come afferma Austin il linguaggio è “uno scrigno di regole” che diversifica l'atto di parola al contesto.
Fermo restando i principi, Lacan sviluppa quanto circoscritto dal giurista, individuando così il vero senso enunciativo alla comunicazione naturale tra i parlanti, con psicopatologie.
Ad esempio gli atti performativi di tipo esplicito sono introdotti da espressioni come: io dichiaro, giudico, considero, ritengo, prometto, mi scuso, critico, censuro, approvo, ti do il benvenuto, e così via.

I performativi hanno la loro attuazione attraverso regole precise e sequenziali. Semplificando esponiamo sei regole che prevedono l'atto di parola performativo:
1)  Deve esistere una procedura convenzionale accettata.
2)  Persone e circostanze devono essere appropriate alla procedura invocata.
3)  La procedura deve essere eseguita da tutti i partecipanti nel modo corretto,
4)  intendendo esso modo nella maniera completa.
5)  Quando la procedura è destinata a persone sulla base di sentimenti e comportamenti inerenti, i partecipanti devono avere di fatto l'intenzione di comportarsi in quel modo, 6)  i partecipanti devono comportarsi in quel modo anche in seguito.

Se applichiamo in tutta semplicità queste regole ad esempio ad una cerimonia di matrimonio, e poniamo il caso ci sia trasgressione delle prime quattro regole, con gli atti non corrispondenti:
1) rispondo qualcos'altro al posto del “si”,
2) al posto del prete interviene un arbitro,
3) uno dei due coniugi ha già contratto matrimonio all'insaputa dei presenti, ed infine
4) uno dei due se ne va lasciando la cerimonia.
Si effettuano dei colpi a vuoto, che sono detti di: invocazione indebita per la trasgressione delle prime quattro regole, con il prodursi di atto nullo.
Nell'invocazione indebita, la trasgressione delle sole prime due regole informa si tratti di atto non riconosciuto, oppure può manifestarsi una esecuzione impropria con la conseguenza di un atto viziato, se la trasgressione riguarda la terza e della quarta regola.
Se non si applicano le ultime due regole si avrà un atto di abuso. Giuridicamente Austin le chiama insincerità.
Capiamo bene che tutti gli atti convenzionali incorrono in infelicità e insincerità.
Quello che a noi importa di cogliere con l'aiuto proficuo di Zendri, è che attraverso la trasgressione delle regole degli atti performativi, ossia quando essi non sono riconosciuti, producono invocazioni indebite, esecuzioni improprie, vizi dell'atto, abuso.
Quindi, la funzione della parola nel campo linguaggio, nel significato manifesto e nell'enunciazione inconscia, stabilisce i messaggi tra i parlanti, che proprio per i tramite del giurista avvicina psicologia, analisi e giurisprudenza più di quanto si potrebbe credere.