La sindrome da burnout: lo stress lavoro correlato e le sue implicazioni

Autore: D. Tonello e K.Querin

La sindrome da burnout: lo stress lavoro correlato e le sue implicazioni Afferra la stretta di qualcuno che ti aiuterà, e poi utilizzala per aiutare qualcun altro.
(Booker T. Washington)
   L’organizzazione Mondiale della Sanità definisce il Burnout come una sindrome stress lavoro correlato che non è stato gestito con successo, è caratterizzato da: sentimenti di esaurimento o esaurimento energetico; maggiore distanza mentale dal proprio lavoro o sentimenti di negativismo o cinismo relativi al proprio lavoro; ridotta efficacia professionale.

Esso compare già nell’ ICD-10 (International Classification of Diseases), ma solo nella classificazione ICD-11, che entrerà in vigore nel 2022, verrà caratterizzato come fenomeno strettamente professionale infatti verrà inserito nel capitolo “dei fattori che influenzano lo stato di salute”.

Il termine Sindrome da Burnout (BOS) risale al 1974 ad opera di Herbert Freudenberger che descrive una particolare reazione allo stress sperimentata dagli operatori delle professioni di aiuto, cioè le helping profession, ma si deve a Maslach e al suo gruppo di lavoro la seguente definizione: «è una sindrome di esaurimento emozionale, di depersonalizzazione e di riduzione delle capacità personali
che può presentarsi in soggetti che, per professione, “si occupano della gente”» e sempre a loro si deve la realizzazione di uno degli strumenti psicometrici per valutarlo (Maslach Burnout Inventory – MBI).

La sindrome da burnout, secondo Cherniss, è un processo che si articola in tre fasi:
1. stress lavorativo: squilibrio in eccesso o in difetto tra richieste dell’istituzione lavorativa e risorse disponibili;
2. tensione (strain): risposta emotiva allo squilibrio immediata e di breve durata, caratterizzata da sensazione di ansietà, nervosismo, affaticamento ed esaurimento;
3. conclusione difensiva (coping): accomodamento psicologico caratterizzato da una serie di cambiamenti nell’atteggiamento e nel comportamento (rigidità, cinismo, ritiro, distacco emotivo).

In linea generale è la valutazione cognitiva che ogni individuo fa dello stimolo e la valutazione delle proprie competenze che può mettere in atto per fronteggiarlo a determinare il potere stressante dello stimolo stesso. Inoltre, secondo Karasek, lo squilibrio è aggravato da alcuni fattori: elevata richiesta lavorativa, bassa libertà decisionale, inadeguato sostegno sociale di lavoro.

Gli stati d’animo più comuni sono: ansia, irritabilità, esaurimento fisico, panico, agitazione, senso di colpa, negativismo, ridotta autostima, empatia; tra le somatizzazioni si annoverano: emicrania, sudorazione, disturbi gastrointestinali, parestesie; tra le reazioni comportamentali: assenze o ritardi frequenti a lavoro, distacco emotivo dall’interlocutore (Fontana eal, 1993).

Ad oggi ci sono diverse teorie in merito alla eziopatogenesi del disturbo. La prima ritiene che il BOS abbia cause multifattoriali in cui si incrociano fattori di rischio socio-ambientali (es. eccessivo carico di lavoro, burocraticizzazione, etc.) e fattori di rischio individuali (es. tendenza eccessiva a responsabilizzarsi, aspettative irrealistiche, significato attribuito al proprio lavoro, etc.).

La teoria biochimica, invece, ritiene che nella BOS siano coinvolti bassi livelli di cortisolo, dopamina e/o serotonina, ciò determina un aumento dei livelli di prolattina, tutto ciò sembra essere in relazione ai sintomi sopra descritti (all’esaurimento emozionale, decremento della realizzazione personale percepita, distaccamento/depersonalizzazione).


Quali sono le figure professionali maggiormente a rischio burn out?

In realtà, il rischio di burn out può riguardare tutte le professioni, poiché come descritto nelle righe precedenti, rappresenta una sindrome complessa e multifattoriale, contraddistinta da aspetti individuali ma anche ambientali.

In generale, sembra potersi presentare con maggior frequenza all’interno di professioni caratterizzate da un alto livello di responsabilità e implicanti relazioni umane. Per tale motivo si riscontra prevalentemente nell’ambito delle professioni “di aiuto”, operatori sanitari, medici, infermieri; ma anche nell’ambito dei lavori assistenziali (assistenti sociali, operatori socio sanitari), cosi come tra il personale delle forze dell’ordine. Inoltre, le persone che si occupano della cura possono essere esposte al trauma vicario, cioè quella traumatizzazione che deriva dal coinvolgimento empatico con le esperienze traumatiche altrui. In tali professioni, oltre agli aspetti specifici connessi al compito professionale, un importante ruolo è giocato da fattori organizzativi, quali i lunghi e pesanti turni di
lavoro, la riduzione dei tempi di riposo e la mancanza di tempo libero. Da ricordare anche il campo educativo, e quindi gli insegnanti di scuola, di qualunque ordine e grado: la responsabilità legata al ruolo che si scontra con le difficoltà organizzative e istituzionali. Un altro settore a rischio è rappresentato dai lavoratori autonomi e liberi professionisti in cui la precarietà e l’incertezza lavorativa, oltre alla necessità di procacciarsi il lavoro, rappresentano importanti fattori predisponenti allo stress.

Non sempre è facile rendersi conto di essere in questo processo disfunzionale, pertanto la presa di consapevolezza che le emozioni quali tristezza, rabbia e frustrazione possono influire negativamente sul lavoro e sul rapporto con i colleghi e al contempo la consapevolezza che tutto ciò potrebbe essere legato al contesto di lavoro possono essere due importanti passi per chiedere aiuto.

Per prevenire autonomamente i principali sintomi del Burn Out, si possono seguire alcuni semplici ma utili consigli, quali ad esempio:

· Staccare la spina: ritagliarsi uno spazio in cui dedicarsi al proprio benessere personale, coltivare un hobby, una passione, concedersi un momento di relax o di divertimento. La parola d’ordine è: “curati di te”, “fai quello che ti piace.” È importante recuperare uno spazio personale, extra lavorativo, in cui poter “ricaricare le batterie”. Se il proprio lavoro prevede fasce orarie di reperibilità, cercare di limitarle per un periodo, ove possibile.

· Mantenere uno stile di vita sano: curare l’alimentazione e preservare il sonno, cercando di dormire almeno 6-8 ore di notte; svolgere regolarmente dell’attività fisica, in quanto dedicare attenzione al corpo facendo ciò che piace, scioglie tensioni e stimola benessere psicofisico.

· Limitare l’utilizzo di strumenti tecnologici quali computer, tablet, cellulare, soprattutto se già ampiamente impiegati per lavoro. In particolare sarebbe bene evitare di utilizzare tali strumenti nelle ore serali in quanto questo può interferire con la qualità del sonno e del riposo.

· Condividere ciò che si sente, parlarne con qualcuno di fidato, se possibile e se è previsto nel proprio ambiente di lavoro richiedere il confronto in gruppo oppure in équipe: a tale proposito è bene ricordare il beneficio legato ai confronti all’interno dell’èquipe di lavoro, utile per rinforzare il senso di appartenenza e condivisione all’interno dello stesso contesto lavorativo.

· Ove tutto ciò non fosse sufficiente è opportuno rivolgersi ad un professionista, senza timori o vergogna: è importante legittimare ciò che si sente, riconoscere ed esprimere i propri vissuti emotivi, per evitare che essi diventino soverchianti; non sono da sottovalutare infatti le ripercussioni che si possono avere non solo a livello individuale, ma anche familiare, sociale e lavorativo.

A tale proposito, quando si intraprende un percorso di psicoterapia, al fine di contrastare la sintomatologia del Burn Out, spesso vengono utilizzate alcune tecniche di riduzione dello stress, come ad esempio:

· le tecniche di rilassamento hanno come obiettivo il riequilibrio psicofisiologico, sono delle azioni volontarie che il soggetto mette in pratica per ridurre l’ansia e lo stress;

· la mindfulness è una pratica meditativa che trae origine da quelle impiegate nel buddhismo, la definizione di Jon Kabat-Zinn recita: “porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante”;

· le tecniche di biofeedback mirano ad insegnare a modificare la propria attività fisiologica al fine di il benessere (Association for Applied Psychophysiology and Biofeedback, AAPB, 2008).

In situazioni di emergenza, come quella attuale, è possibile che il personale che lavora in prima linea sia soggetto a questa particolare forma di malessere che, in alcuni casi, può avere come conseguenza non solo la sindrome da burnout, ma anche lo sviluppo di un disturbo post traumatico da stress (PTSD).

Pertanto è importante che si intervenga tempestivamente per il sostegno al benessere psicofisiologico.
 

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