La pandemia ha reso i nostri ragazzi hikikomori?

Autore: Consuelo Aringhieri

La pandemia ha reso i nostri ragazzi hikikomori? Questo termine, derivante dalla lingua giapponese, si sta diffondendo negli ultimi mesi in modo spesso improprio e sommario per descrivere l’atteggiamento di ritiro sociale e attaccamento alla rete che i nostri adolescenti stanno manifestando a seguito dei forzati lockdown e della didattica a distanza, resasi indispensabile per contenere la pandemia.
 
Ma l’accostamento del termine “hikikomori” a questa descrizione situazionale crea confusione sul reale significato di questa parola e sul fenomeno che descrive.
 
Qual è dunque il reale significato di questo termine?
 
“Hikikomori” è un termine giapponese che significa letteralmente “stare in disparte” e viene utilizzato clinicamente per descrivere il comportamento di chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi (da alcuni mesi fino a diversi anni), rinchiudendosi nella propria abitazione, senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno, talvolta nemmeno con i propri genitori.
 
Inizialmente, quando negli anni ‘90 lo psichiatra Tamaki Saito (1998) iniziò ad indagare in modo più approfondito il fenomeno, sembrava essere una sindrome culturale esclusivamente giapponese, tuttavia con il passare del tempo ci si è resi conto che il fenomeno sembra più vicino ad un disagio adattivo sociale che riguarda tutti i paesi economicamente sviluppati del mondo.
 
Si è infatti rapidamente diffuso anche in Corea e Cina ed è approdato negli Stati Uniti intorno all’inizio del nuovo millennio (Block, 2008).
 
E’ un comportamento che insorge frequentemente nella fascia di età tra i 14 e i 25 anni, anche se, negli ultimi anni, sta coinvolgendo un crescente numero anche di giovani adulti. In Giappone il fenomeno ha contato nel 2018 circa 1 milione di casi.
 
Il termine Hikikomori è stato tradotto in modo più internazionale, sempre da Saito, in “Social withdrawal”, una condizione sociale più ad ampio spettro, caratterizzata prevalentemente da sentimenti di solitudine, isolamento, ritiro dalla società e dalle relazioni interpersonali. Un mettersi in disparte sostituendo il tempo della relazione con un tempo trascorso in isolamento totale, concedendosi soltanto l’utilizzo di internet, di fumetti o video giochi: è un ritiro dalla società, è un rifugiarsi nella solitudine. Tuttavia, paradossalmente, questi giovani interagiscono virtualmente in modo molto attivo con l’esterno: attraverso un apparente rifiuto della vita reale essi compiono il loro atto di difesa dal mondo che sta fuori, facendo diventare la propria stanza l’unico spazio di realtà vivibile, inaccessibile a chiunque, come rappresentazione di un riparo da difendere a tutti i costi.
 
Spesso tendono ad invertire il ritmo giorno-notte, ad addormentarsi al mattino dopo ore trascorse a guardare la tv, a leggere, a giocare ai videogames o a chattare on line durante la notte.
 
Ma perché a un certo punto del loro percorso di sviluppo alcuni ragazzi decidono di ritirarsi dalla vita sociale e scelgono una modalità di silenziosa sopravvivenza virtuale?
 
Diversi psicoterapeuti descrivono alcune emozioni riscontrate in modo ricorrente durante i colloqui con i giovani Hikikomori: paura, ansia, rabbia e vergogna.
 
Questi ragazzi riportano vissuti di continua inadeguatezza, che li spinge a ritirarsi dal confronto con gli altri, per evitare di sperimentare costantemente un senso di frustrazione e di sconfitta.
 
Il Giappone è sicuramente, attualmente, il paese più colpito in assoluto e la ragione principale va ricercata nell’alta competizione che pervade tutti i suoi contesti sociali, da quelli scolastici a quelli lavorativi, e nella tolleranza di fenomeni come il bullismo, dove essere esclusi dal gruppo non viene letto come una vittimizzazione, bensì con il significato di aver fallito socialmente poiché  la cooperazione e l’adesione a norme condivise rimangono un valore aggiunto in una società collettivistica come quella giapponese.

Al bullismo infatti, non viene attribuito affatto il significato di un’ingiustizia subita dalla persona, anzi, viene interpretato piuttosto come un mostrarsi outsider rispetto al gruppo dei pari, per via della propria non conformità, accrescendo il proprio senso di inadeguatezza.
 
Ed è proprio nel senso di fallimento sociale che sono da rintracciare le cause profonde di questo fenomeno: dove si crea un gap tra il proprio sé ideale e la realtà si insinuano le paure di fallire, di deludere gli altri, di perdere tempo e, come conseguenza, un forte senso di vergogna di sé.
 
Molti adolescenti, nella società moderna occidentale si  trovano oggi a fare i conti con idee grandiose rispetto al proprio sé, con aspettative enormi ed ideali di perfezione, che in parte la società propone come modelli a cui aspirare, in parte le famiglie d’origine sostengono come ambizioni da perseguire, proprio per questa ragione il fenomeno hikikomori ha varcato i confini dell’Arcipelago.
 
Inoltre, entrando più nello specifico, dai numerosi studi che sono stati condotti in Giappone per comprendere se esistesse una multifattorialità di cause all’origine del manifestarsi di questo protratto rifiuto sociale, oltre ad una cultura sociale di ipercompetitività, sono emersi diversi aspetti significativi. Da un punto di vista psicologico, si sono studiate innanzitutto le variabili familiari legate a relazioni disfunzionali di tipo invischiato e la copresenza nelle figure di attaccamento di disturbi psicopatologici associati, come ad esempio la depressione o disturbi d’ansia.

Questi ragazzi sono in genere figli unici di sistemi familiari in cui risulta carente la presenza emotiva del padre e un attaccamento molto invischiato con la figura materna. Hanno genitori che, in modo differente, faticano a relazionarsi con il figlio, il quale spesso rifiuta qualsiasi tipo di aiuto.
 
Sono ragazzi con una particolare sensibilità: questa caratteristica, spesso non identificata come una risorsa, e di conseguenza non declinata come una competenza,  rappresenta per loro una fragilità, in quanto crea difficoltà nell’instaurare relazioni soddisfacenti e durature, li rende impreparati ad affrontare con efficacia le inevitabili difficoltà e delusioni che la vita riserva. Per questa ragione diventano inibiti socialmente, seppur dotati di una estrema intelligenza.
 
Da un punto di vista sociologico, invece, si sono indagati soprattutto i fattori legati al particolare sistema culturale giapponese, basato sul confucianesimo, e all’avere un atteggiamento di anomia sociale e di rifiuto verso le severe regole morali e sociali su cui si basa la tradizione giapponese.

L’ipotesi che ne è scaturita ha confermato quindi che questi giovani, pressati dai valori sociali basati sull’estremo perfezionismo e sulla tendenza a voler sempre primeggiare sia a scuola che al lavoro, non si sentano all’altezza degli standard loro richiesti e preferiscano privarsi della libertà pur di evitare di affrontare una realtà quotidiana che avvertono come opprimente.
 
La compresenza di più fattori di rischio aumenta in genere il numero di ambiti in cui il ragazzo riscontra difficoltà, portandolo ad una  crescente demotivazione nel confrontarsi con la vita sociale, fino a un vero e proprio rifiuto della stessa. Viene messo in atto un meccanismo di evitamento, un rifiuto ad affrontare le problematiche e un conseguente ritiro in un luogo che trasmette protezione: la casa, nello specifico la propria stanza: questi ragazzi nei casi più gravi non si recano neanche più in cucina per consumare i pasti ed escono dalla propria stanza da letto giusto per recarsi in bagno e mantenere una minima igiene personale.

La reclusione appare l’unica soluzione, l’unico strumento per manifestare il proprio dissenso o il proprio disagio rispetto ad un gruppo e alle sue norme.
 
Tale interpretazione sembrerebbe confermata anche dalle testimonianze di tanti giovani ex Hikikomori che, in genere, dichiarano di essere nauseati da tutto, soprattutto dal fatto che il loro modo di vedere le cose e la società non corrisponde alle attese, tanto da sentire di non avere altra scelta oltre al “rinchiudersi” (Secher, 2002).
 
La letteratura ci insegna come l’identità dell’adolescente si struttura grazie a diversi elementi, tra cui fondamentale importanza assumono l’adesione o la critica di norme sociali e regole dettate dalla famiglia e dalla società e il rispecchiamento e l’identificazione nel gruppo dei pari. Gli adolescenti Hikikomori, interrompendo questo legame con la società e con il gruppo, è come se si chiamassero fuori dal percorso adolescenziale, indispensabile però per il passaggio alla vita adulta. E’ molto complicato pertanto per questi ragazzi riuscire a strutturare una propria identità e spesso preferiscono adeguarsi ad identificarsi con l’”etichetta” che la società gli fornisce, descrivendo il loro fenomeno esistenziale, seppur in termini negativi.
 
Sovente viene anche erroneamente attribuita loro una dipendenza da internet, indicata come una delle principali cause scatenanti del fenomeno, essa invece rappresenta più una possibile conseguenza dell’isolamento che una causa: utilizzare la rete è l’unico mezzo con cui questi ragazzi possono restare in contatto con il mondo esterno ed è anche una delle poche attività praticabili nel tempo libero chiusi nelle quattro mura della propria cameretta. Il fenomeno è infatti scoppiato in Giappone ben prima della diffusione del personal computer e della rete. Questo significa che prima che esistesse internet l’isolamento degli hikikomori era totale. Da questo punto di vista, l’utilizzo del web può essere interpretato come un fattore positivo, in quanto consente ai ragazzi di continuare a coltivare delle relazioni sociali e interessi che altrimenti sarebbero loro preclusi.

Il fenomeno va pertanto distinto dall’abuso tecnologico o da altre forme patologiche, anche se, dobbiamo evidenziarne un elemento comune: si sceglie una vita virtuale che sostituisce in pieno il reale ( L.T. Pedata, M. Interlandi, 2012). Il senso di vergogna sperimentato nel contatto con l’altro, in rete viene placato, anche se non completamente. La dimensione del gruppo sulla piattaforma virtuale crea un senso di appartenenza e di accettazione immediata che non sembra essere caratterizzato dai tempi e dalle regole più severe a cui sottostanno i gruppi nella realtà quotidiana  (Lavenia 2012).
 
Quello che la letteratura ci suggerisce pertanto è che i ragazzi hikikomori, seppur in una situazione di fragilità emotiva, scelgono di evitare il mondo e di ritirarsi, motivo per cui siamo portati a propendere per il fatto che sia errato assimilare la situazione dei nostri adolescenti durante la pandemia a questo fenomeno. Gli adolescenti in questi mesi, in tutto il mondo, si sono trovati costretti ad adeguare la loro relazionalità all’impossibilità di uscire di casa e di frequentare la scuola.

E’ possibile che alcuni ragazzi, già precedentemente all’insorgere della pandemia, avessero delle fragilità relazionali e che la costrizione a restare a casa sia stata vissuta come un sollievo anziché un obbligo da rispettare, ma per la maggior parte dei ragazzi la rete è stata vissuta come la risorsa indispensabile per mantenere un minimo di socialità e normalità. Possiamo concludere che sarà opportuno occuparsi di queste fragilità se in qualche ragazzo l’isolamento perdurerà anche con il terminare dell’emergenza sanitaria, quando la nostra socialità e la nostra relazionalità potranno tornare ad essere fatte di realtà non virtuale.
 

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