Essere consapevoli: il nostro filo di Arianna

Autore: Maurizio Bottino

Essere consapevoli: il nostro filo di Arianna Rientra in te stesso: la verità abita nella parte più interna dell’uomo (Lettere, S. Agostino)
 
La vita di ogni persona è un percorso: ognuno ha la propria storia costellata di incontri e separazioni, desideri e bisogni, speranze e delusioni, progetti ed aspettative. La varietà di queste istanze si dispiega nello spazio e nel tempo della nostra esistenza cosicché in occasioni e in momenti diversi noi ci percepiamo integri, frammentati, fermi, in movimento, regrediti, maturati.

Tutte valutazioni, spesso moralistiche del nostro modo di essere, che guardano la vita in un’unica ottica che contiene in sé, nel tentativo di definire, il rischio di spezzettare quello che ci accade e quello che noi stessi siamo. In questa visione esistono, in senso lato, tempi “belli” e “brutti” che raccontano la vita delle persone in un grafico, non continuo, di esperienze separate tra di loro.

“Mi sono laureato, ho trovato lavoro, mi sono sposato, mi sono ammalato, …” senza una prospettiva di continuità che leghi gli eventi della nostra storia alla nostra storia. Perché i fatti della vita non descrivono la vita: uno stesso fatto può essere percepito e vissuto in tante maniere diverse ed ognuna di queste contribuisce a disegnare una vita diversa.

Per cambiare il modo di percepire la realtà è necessario un percorso. Si inizia dalla conoscenza di come cause arcaiche (educazione, traumi, situazioni di vita…) influenzano il nostro modo di essere a cui fa dovrebbe far seguito la consapevolezza di come esse continuano ad interagire nel presente attraverso continue coazioni a ripetere. Seppure questo sia un passaggio importante, in quanto consente una buona gestione della propria vita, esso non è sufficiente. Molti percorsi di crescita, siano essi meditativi, religiosi, psicoterapeutici si fermano a questo stadio. Ma non basta sapere “il perché causale” ed il “come gestionale”: occorre trovare “l’affinché evolutivo”. Tutto ciò che è accaduto e sta accadendo ha uno scopo per la nostra vita, un motivo profondo che va oltre, verso direzioni che è necessario tentare di conoscere. Si tratta di rendersi conto della necessità di avere in mano un filo di Arianna indispensabile per trovare il senso del nostro vivere, soprattutto quando gli avvenimenti negativi ci confondono come novelli Teseo nel buio del labirinto ed alle prese con i Minotauri della nostra vita.

Perché le cose avvengono a caso, ma non per caso: esiste un senso profondo la cui conoscenza trasforma l’esistenza umana in un percorso di crescita in cui i fatti, tutti, assumono un sapore pregno di attiva speranza e non di passiva rassegnazione. È necessario un cambiamento di prospettiva che consenta l’acquisizione di un metodo capace di attribuzione di senso per imparare a dare una dimensione evolutiva al nostro vivere: “...dobbiamo imparare a disimparare molto di quello che abbiamo imparato e ad imparare che non ci hanno insegnato ad imparare.” (F. Pearls).

Una lettura un po’ più attenta della nostra realtà relazionale ci mostra che gli incontri che facciamo non sono casuali. La persona che scegliamo di avere al nostro fianco spesso ci offre “cose” che, più o meno consapevolmente, stavamo già cercando e quando ci confrontiamo con lei ci stiamo confrontando con la nostra interiorità. Anche il modo di amare un figlio ci offre la possibilità di riconoscerci ed identificarci.

Perché amiamo in un modo piuttosto che in un altro? Per quale motivo ci arrabbiamo o soffriamo per determinate mancanze mentre altre, ben più gravi, non ci toccano? Perché, ciclicamente, ci ritroviamo intrappolati in situazioni già vissute e in eventi che, nuovamente, ci fanno ritrovare indifesi ed inadeguati, incapaci di reagire? Perché da noi, persone diverse si aspettano le stesse cose?

Molte di queste risposte possono scaturire solo da una visione unitaria della nostra storia. Ci dobbiamo rendere conto che è possibile che i nostri desideri attuali siano una ristrutturazione dei bisogni infantili; i nostri progetti adulti aspettative di ieri; i rapporti interpersonali significativi per noi possono riproporre edizioni aggiornate di relazioni antiche.

Inoltre esistono molteplici meccanismi di difesa inconsapevoli (ma spesso anche consapevoli), che usiamo per tenere fuori o lontano da noi alcuni fatti della nostra vita, situazioni, persone che non ci piacciono, che ripudiamo, che non vorremmo fossero nostri: buchi neri che ci causano dolore e ci risucchiano le energie.
Capita di proiettare realtà nostre all’esterno, attribuendole a comportamenti altrui e questo ci autorizza a colpevolizzare modi di essere che contemporaneamente neghiamo in noi. Così lo scindere nettamente il bene dal male, il giusto dallo sbagliato ciò che è opportuno da ciò che è disdicevole ci rassicura, delineando confini precisi entro cui poter agire.

Così facendo crediamo di rendere inoffensivi tali buchi neri e trasciniamo la nostra esistenza di giorno in giorno, ma queste ed altre dinamiche interne non danno senso alla vita perché negano e non riconoscono la complessità che in ognuno di noi esiste e continuamente si realizza.
Come, per esempio, riuscire a conciliare un desiderio di fare cose per sé con un dovere materno, un sentimento di amore con un dovere coniugale e così via? Il nodo irrisolto si trova spesso nella visione dicotomica con cui ci approcciamo alla vita!

O si ama o si odia, o si fa una cosa con piacere oppure controvoglia, o si distrugge o si costruisce e alla fine è spesso il senso del dovere a dettare la nostra condotta lasciandoci insoddisfatti, arrabbiati, pieni di rancore e di vendetta.
Ci hanno insegnato ad ascoltare la “voce della coscienza” che, purtroppo spesso, altro non è che un dovere normativo, impresso in noi dall’esterno (famiglia, società, cultura) senza che potessimo decidere di aderirvi o meno. Se non lo osserviamo scaturiscono sensi di colpa più o meno gravosi per la nostra serenità.
Quando vediamo altri che agiscono seguendo altre linee di condotta, ancor prima di capire anzi rinunciando a conoscere, proviamo per loro sentimenti di indignazione, rifiuto, estraneità rifugiandoci in una calda situazione di conformismo e scarsa autenticità.
Ma il vero immergersi in noi stessi, oltre le nostre difese lì verso il nucleo profondo del nostro essere, ci consente di scoprire ciò che vogliamo e ciò che è meglio per noi. E vedere così tutte le illusioni da abbandonare, i distacchi da accettare, le sofferenze da accogliere, i mille e mille fiori ancora da cogliere.

Solo allora possiamo entrare in contatto con un nostro senso del dovere: un dovere interno, scelto consapevolmente per noi stessi e per una nostra progettualità, che non nega nessuno, ma evidenzia i desideri:
 studiare con sacrificio per arrivare ad una meta professionale;
 aiutare un figlio nei compiti, anche quando siamo stanchi, ed essere felici nel vedere crescere le sue competenze;
 separarsi da situazioni di non amore e di ricatto per scegliere una strada in cui vivere pienamente la propria vita (figli adulti legati simbioticamente alle madri, fidanzamenti ormai spenti).

La realtà ci offre tutti i giorni l’opportunità di assolvere compiti che richiedono un superamento di noi stessi, non in un clima di rinuncia e di negazione di sé, ma aperti ad una visione unitaria dove si può recuperare il valore sano del dovere legandolo ad un sentimento d’amore per l’altro che non impoverisca noi stessi.
Non più, quindi, “o-o” ma “e-e”: con tale prospettiva si accede alla consapevolezza della coesistenza di aspetti ambivalenti nei nostri sentimenti, in noi stessi e nella realtà. Guardare alle nostre dimensioni come a dei continuum ci aiuta ad abbandonare la paura di entrare nel dolore trasformativo, strumento ineludibile di ogni processo di crescita.

È infatti la sofferenza, condizione esistenziale che accompagna la nostra vita, che spesso ci offre una grande opportunità di arricchimento personale.

Spesso la paura non ci consente la sua scoperta: quando cerchiamo di evitare la percezione del dolore evitiamo accuratamente tutto ciò che rende precaria la nostra presunta stabilità e serenità interiore. Evitiamo una persona, una situazione, una certa modalità di rapporto o, peggio ancora, separiamo tutto ciò dalle connotazioni emozionali neutralizzando ogni cosa, consentendoci, al più, sentimenti di rabbia, di fastidio o di rassegnazione o, peggio, di indifferenza. Quello che acquistiamo così è indifferenza verso noi stessi, un’estraneazione da parti di noi che sono come congelate. Magari pensiamo di aver toccato il fondo, di aver bevuto ogni amarezza e che quindi, dopo aver sperimentato di tutto per cambiare una condizione, diciamo: basta. Questo non sempre funziona, perché non sempre abbiamo veramente esaurito i nostri sentimenti più profondi.

Questi ultimi a volte sono così antichi e polverosi che il ritrovarli dentro di noi è veramente un’impresa ardua; altre volte invece abbiamo impiegato così tante energie per ibernarli che occorre molto tempo per farli rivivere. In entrambi i casi riscoprirli ci restituisce una nostra identità più reale e completa. Insieme alle nostre presunte brutture e alle nostre debolezze troviamo così anche dei nostri pezzi mancanti, che ci danno una nuova integrità: la fragilità di essere autentici.

Per questo, ad esempio, a volte può servirci comunicare qualcosa di noi a persone significative della nostra vita. Può essere infatti importante incontrarsi vis-à-vis con qualcuno, anche per iscritto con una lettera, oppure con tutti i mezzi comunicativi oggi a disposizione, o ancora con la nostra semplice immaginazione, ed utilizzare questo come uno strumento per noi. In primo luogo questa è una dichiarazione a noi stessi di dove stiamo, del perché e di come ci siamo arrivati. L’enunciazione diventa una rivelazione che ci rende più consapevoli, a condizione che siamo centrati su di noi e non tanto su quello che l’altro deve recepire ed accettare di noi.

Così facendo, questo può diventare uno dei possibili modi per contattare le nostre emozioni, le paure, i sentimenti più inaccettabili che altrimenti, albergando in noi senza possibilità di avere voce, rendono più silente anche la nostra vita.
Cosa accompagnerà questo percorso di crescita? Il dolore. L’intero processo implica la capacità di affrontare il dolore. Ed essere veramente egoisti rappresenta forse la via regia per potersi immergere nel dolore più autentico.

Imparare a pensare a noi stessi, senza recare necessariamente danno ad altri, cercando e dichiarando a noi stessi le emozioni che proviamo, così come le proviamo, comporta spesso l’incomprensione e la critica altrui che, pur contribuendo ad un ulteriore ascolto di noi stessi, non ci preserva dalla sensazione di profonda solitudine che ogni cammino di crescita comporta.

La solitudine, insieme all’impotenza, alla paura del fallimento, alla rabbia, all’insicurezza, all’invidia, alla paura d’essere abbandonati sono emozioni preludio di un dolore primario, il più profondo, che si esplica nell’impossibilità di amare noi stessi e l’altro come vorremmo. E non è una vita vissuta invano quella di chi cerca di diventare ogni giorno sempre più capace di essere uno spazio d’amore.

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