Depressione: l’altro lato che non ci aspettiamo

Autore: Katia Querin

Depressione: l’altro lato che non ci aspettiamo Tristezza, malinconia, senso di vuoto, mancanza di energie, apatia, sono solo alcuni dei sintomi tradizionalmente associati alla depressione.
Senza banalizzare o semplificare l’argomento, e senza alcuna pretesa di esaustività, mi piacerebbe portare una riflessione su una differente prospettiva da cui guardare alla depressione.
Innanzitutto, è bene precisare che per ragioni di brevità e chiarezza espositiva, non saranno qui menzionati e differenziati i diversi disturbi depressivi come descritti nel DSM-V, che si presentano con caratteristiche diagnostiche specifiche, ma si parlerà della sofferenza depressiva cosi come è generalmente intesa e che fa riferimento al Disturbo Depressivo Maggiore.

Nella sua accezione classica e tradizionale, il disturbo depressivo è concepito in termini sostanzialmente negativi, comprensibilmente peraltro, vista la sintomatologia con cui si presenta e attraverso cui viene diagnosticato: umore depresso, perdita di interesse e piacere per la maggior parte delle attività, stanchezza e mancanza di energia, sentimenti di autosvalutazione, diminuita capacità di concentrazione, ricadute negative sull’alimentazione e sul sonno, pensieri negativi, ecc…

Un dolore che va a intaccare spesso la stessa voglia di vivere….La persona che soffre di depressione è una persona che prova una sofferenza profonda, un malessere subdolo e invalidante, che limita e si ripercuote negativamente sulla capacità della persona di vivere la sua vita, le sue relazioni, il suo lavoro, la sua quotidianità. La stessa etimologia della parola Depressione, che deriva dal latino deprimère, (de-premo, premere, schiacciare), ossia “premere verso il basso”, “schiacciare a terra”, rimanda a qualcosa che opprime, abbatte, schiaccia…

A partire dalle precedenti considerazioni, e senza minimizzare la sofferenza vissuta dalla persona, esiste la possibilità di guardare alla depressione da un punto di vista diverso e complementare?
 
Una prospettiva altra che non tolga riconoscimento, dignità e rispetto ai vissuti individuali e strettamente soggettivi, ma che cerchi invece di dar loro un senso e un significato più profondo e complesso e che possa, infine, rivelarsi, utile strumento di comprensione e forse di via d’uscita?
Innanzitutto, è opportuno distinguere tra stato d’animo o umore temporaneamente negativo e depressione: la tristezza o un umore basso fanno parte della vita di tutti i giorni, solo se divengono persistenti nel tempo e limitanti la vita quotidiana e le capacità di funzionamento dell’individuo possono far pensare ad uno stato depressivo.

Un’adeguata riflessione sul tema deve inoltre partire dal considerare che non esiste un unico tipo di depressione, né tutte le forme di depressione sono equivalenti, per cui si può impostare un trattamento analogo per tutti: questo è un aspetto da rilevare ogni qualvolta ci troviamo di fronte a un disagio, fisico o psicologico.

Ogni persona è unica, unico è il vissuto e quindi unica e specifica dovrebbe essere la presa in carico.

Non si deve dimenticare che ciò che fa la differenza è l’esperienza, umana, della persona che abbiamo di fronte.
 
Ho trovato molto significativo, a tal proposito, il contributo di Luigi Cancrini, noto psichiatra e psicoterapeuta di formazione psicoanalitica e sistemica. Egli sostiene che la depressione è un sintomo, non una malattia, il cui significato va ricercato ed esplorato prima di “curarlo” ed eliminarlo (Cancrini, 2003).

Questo concetto si collega, se vogliamo, alla più ampia riflessione sulle emozioni e sul loro significato: ogni emozione ha diritto di cittadinanza, anche quelle che siamo soliti definire emozioni “negative”; c’è una validissima ragione se proviamo quello che proviamo in una data situazione, e questo vale anche per la tristezza, così pesantemente presente in chi soffre di depressione. Da un certo punto di vista, la tristezza stimola la capacità riflessiva, una sorta di “chiusura” in se stessi, allo scopo di riflettere, sebbene faticosamente, sugli eventi accaduti, su ciò che ci manca e per noi è importante; un ripiegamento che consente di preservare e recuperare energie, aiuta a comprendere che c’è qualcosa che non va e ci spinge a ricercare la vicinanza con l’altro significativo.

E nella depressione accade che lo sguardo della persona viene rivolto all’interiorità, prendendo quasi le distanze dall’esterno, per portare l’attenzione dentro di sé, nella profondità del proprio mondo interiore, per liberarci da ciò che ci imprigiona, per ri-costruire e re-inventare se stessi, come sostiene James Hillman: “…Eppure è attraverso la depressione che entriamo nelle profondità, e nelle profondità troviamo l’anima. La depressione è essenziale al senso tragico della vita […]. (Essa) Dà rifugio, confini, centro, gravità, peso e umile impotenza […].La vera rivoluzione comincia nell’individuo che sa essere fedele alla propria depressione. Che non si dibatte per uscirne, […], ma che scopre invece la coscienza e le profondità di cui essa ha bisogno. Così ha inizio la rivoluzione per il bene dell’anima.”. (Hillmann, 1992).

Cancrini sostiene che la depressione è sempre una reazione patologica ad un lutto non elaborato, laddove per lutto non s’intende esclusivamente la perdita di una persona cara, ma un accadimento che ha comportato la perdita di qualcosa di valore per la persona: un lavoro, una relazione sentimentale, un progetto, un ruolo, o parte della propria identità, un cambiamento significativo. Un dolore non raccontato, non espresso in una relazione significativa, che dunque non ha trovato ascolto, accoglienza, comprensione. E che sovente si accompagna ad altri sentimenti, come lo sconcerto e la rabbia. (Cancrini, 2003).
Sempre lo stesso autore, infatti, riportando la sua esperienza clinica, ci dice che molto spesso la depressione diventa una sorta di maschera dietro cui si nascondono altri vissuti, in particolare di rabbia e aggressività, che se lasciati emergere, nel momento in cui vengono espressi  e gradualmente significati, consentono alla depressione stessa di andare pian piano sullo sfondo ( Cancrini, 2003).
 
Entro certi limiti, la depressione può dunque essere intesa come una reazione sana, se spinge a riflettere sugli eventi, a ricercare le possibili cause scatenanti: un ripiegamento su di sé utile per recuperare forze e risorse, per domandarsi cosa non sta funzionando, e dunque cosa si può fare per trovare sollievo al proprio dolore. Questa considerazione, tra l’altro, permette anche di contrastare la visione della depressione come  un disturbo cronico. Secondo Cancrini la cronicità è legata all’intervento solo sintomatico, avulso da un’esplorazione più complessa e profonda del significato, anche relazionale, della depressione.
 
E qui, dunque, troviamo un  punto molto importante nell’approccio alla depressione, vale a dire individuare i possibili aspetti scatenanti la sofferenza, prendere coscienza di ciò che è accaduto, dargli voce e riconoscimento: quali sono gli eventi drammatici accaduti? Quali sentimenti hanno generato? E che relazione c’è con il contesto relazionale significativo della persona?
Spesse volte poi in terapia sono le stesse persone che raccontano come durante i momenti bui, emergano domande profonde, quali “Cosa non mi piace della mia vita? Se mi guardo intorno, cosa non mi soddisfa?”: e queste domande rappresentano un utile punto di partenza per indagare e approfondire le radici della sofferenza, i nodi drammatici che si sono verificati, e per far gradualmente emergere i vissuti sottostanti e nascosti,  insieme forse a nuovi desideri e possibilità.  Questo è un processo che va realizzato all’interno di un “luogo sicuro”, qual è il contesto terapeutico, in cui il terapeuta accompagna la persona nell’esplorazione di quei contenuti profondi, spesso nascosti alla coscienza, supportando al contempo l’espressione delle emozioni e dei vissuti dolorosi, e lasciando emergere il possibile risvolto e significato ‘adattivo’ della situazione.
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Bibliografia
Cancrini L., “Date parole al dolore”, Frassinelli 2003.
Hillman J., “Re-visione della psicologia”, Adelphi 1992.

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