Ansia e depressione: gli uomini ne soffrono meno delle donne?

Autore: Maria Rita D'Onofrio

Ansia e depressione: gli uomini ne soffrono meno delle donne? Malgrado la mia forza maschiaccia, ho un cuore tenero, da piccioncino. (Totò – Felice Sciosciammocca)

Le statistiche rilevano differenze significative tra uomini e donne nella diffusione dell’ansia e della depressione, con una frequenza molto superiore nelle donne.

Ma è proprio così?

Le statistiche vengono create su dati derivanti dalle richieste di aiuto a medici e psicologi.
Sarebbe dunque più corretto dire che le donne chiedono aiuto per i loro problemi psicologici – e quindi anche quando si sentono in ansia o depresse –  in misura nettamente maggiore di quanto non lo facciano gli uomini.

Potremmo forse anche supporre che le donne abbiano una maggiore percezione dei loro disagi psicologici, perché sono abituate ad esplorare i loro stati interni.
Ma per gli uomini non è così, o almeno non è così facile, per questioni fondamentalmente culturali.

Nella nostra cultura gli uomini, dal momento in cui nascono, vengono bombardati da messaggi impliciti che li vogliono forti a tutti i costi, “virili” appunto. Contemporaneamente viene scoraggiata la tendenza a osservare se stessi, i propri elementi di fragilità, a riflettere su di sé, e al contrario viene incentivata la tendenza all’azione.

In base a questo modello, non può essere virile qualcuno che percepisce in sé una screpolatura, un’insicurezza, o angoscia, o tristezza. Il solo fatto di sentire un disagio equivale ad essere deboli. 

A maggior ragione viene scoraggiata la tendenza a condividere, a parlare con altre persone dei propri problemi o anche semplicemente delle proprie emozioni negative. Queste vanno nascoste, e se possibile negate a se stessi. Manifestarle equivarrebbe a “piangersi addosso”. E un uomo non deve mai piangere!

Culturalmente, quindi, gli uomini sono meno incoraggiati delle donne a guardare dentro se stessi e ad essere in contatto con le loro emozioni. Quando poi un disagio irrompe, è molto più accettato se volge verso la rabbia e l’aggressività che non verso l’ansia, l’angoscia, la tristezza.

La rabbial’aggressività portano a rivolgere la propria attenzione verso cause esterne, quindi a negare un eventuale disagio personale e ad adottare strategie che escludono la ricerca di aiuto per alleggerire la sofferenza. 
Queste strategie, però, non eliminano il problema – negato o nascosto che sia – ma, al contrario, lo complicano.
Vediamo qualche esempio.

Il superlavoro
Una strategia tipica è quella di buttarsi a capofitto nel lavoro, con la conseguenza di creare un circolo vizioso da cui è molto difficile poi uscire: lavoro tanto -> diminuisce il tempo in cui sento la mia sofferenza, ma anche il tempo a mia disposizione per interessarmi di cose che mi appassionano o potrebbero appassionarmi, o per coltivare relazioni profonde d’amore, di amicizia, o banalmente per rilassarmi -> il mio disagio aumenta -> lavoro di più -> la mia vita privata si impoverisce sempre di più -> mi sento angosciato e solo -> lavoro di più.
Questo circolo vizioso non solo è deleterio perché si autoalimenta, ma è fortemente disfunzionale perché è sostanzialmente basato sul meccanismo dell’evitamento, che è uno dei più potenti fattori di mantenimento dei problemi.

L’alcool
Un’altra strategia spesso adottata dagli uomini è l’abuso di alcool. Affogare i dispiaceri nell’alcool è molto più accettato socialmente di quanto non lo sia andare da uno psicologo, ma i danni – fisici e psichici – sono pesanti.

La palestra
Oppure l’esercizio fisico portato all’estremo. Un uomo che si sente fragile può scegliere di compensare questa sua sensazione costruendosi un aspetto forte e virile attraverso un allenamento intenso. 
Non è detto che questa sia l’intenzione fin dall’inizio. Magari un uomo che si sente angosciato e depresso comincia a frequentare assiduamente una palestra per sfuggire da pensieri e ruminazioni, e anche per cercare di instaurare quei rapporti sociali che si fanno sempre più difficili a causa del malessere. Poi man mano si rende conto che il suo aspetto sta cambiando, e che con muscoli più tonici lo fanno sembrare più forte e attraente. 
Così, quasi senza accorgersene, si immerge sempre più in questa ricerca di un aspetto fisico virile ed entra in un vero e proprio vortice che può portare a uno stato di overtraining o anche di bigoressia.
Si tratta di patologie che rivelano una grande fragilità che si tenta di coprire con una vera e propria maschera.

Bastare a se stessi
Poi c’è la scelta di essere autonomo su tutto. Non chiedere mai niente a nessuno suggella la regola: non ho bisogno di nessuno perché sono forte e basto a me stesso. Oltre all’ulteriore carico di stress che questa strategia comporta, la conseguenza più grave è la perdita di rapporti sociali, l’inaridimento di interessi, l’impoverimento della vita, con conseguente aumento di ansia e depressione.

Queste sono alcune possibili strade che gli uomini tendono a scegliere quando sentono in se stessi una qualche forma di vulnerabilità.
Ma la sofferenza - negata o nascosta che sia – comunque c’è, e continua a lavorare dentro producendo comportamenti rabbiosi, forti malesseri, forti disagi nelle relazioni, malattie fisiche.

E allora c’è una sola scelta che può avere esiti positivi: riconoscere di avere un problema, capirlo, affrontarlo.
Anche un uomo può avere ansia, o sentirsi depresso. Questa non è una colpa, né una vergogna.

Chiedere aiuto è sempre una manifestazione di forza, perché vuol dire essere capaci di accettare i propri limiti e avere le risorse per impegnarsi nella ricerca di una soluzione al dolore e al disagio psicologico.

Foto di Sammy-Williams da Pixabay


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