Un sostegno per l'onicofagia

Autore: Marta Fuscà

Un sostegno per l'onicofagia L’onicofagia può essere considerata grave o non grave in base al tipo di lesione che il soggetto presenta. Si definirà onicofagia non grave quando una porzione della lamina ungueale mordicchiata è solo la parte distale o margine libero; sarà invece definita grave quando la lamina ungueale risulta dimezzata o trimezzata rispetto a quello che naturalmente sarebbe dovuta essere. Il letto ungueale appare di gran lunga ridotto in dimensioni e sono visibili ferite evidenti in zone cuticolare. Grazie alla tecnica della ricostruzione unghie, che sia in gel o in acrilico, possiamo migliorarne l’aspetto estetico ma non riusciremo a risollevare del tutto l’aspetto psicologico.
 
Nella nostra società attuale, una società “liquida” in cui prevalgono le individualità a discapito delle apparenze, la bellezza emerge come luogo in cui le diversità possono incontrarsi, come spazio di una nuova appartenenza che permetta alla soggettività di ricomporsi con le molteplicità. Sembra che la bellezza risuoni in ogni cuore come slancio naturale, come bisogno fisiologico (Salonia, 2011). Spesso capita che la donna sia la portavoce di questa bellezza, una bellezza prevalentemente corporea ed estetica che possa essere vista ed incontrata dell’“altro”, sia esso uomo o donna. In tal senso sembra che siano cresciuti a dismisura l’interesse e la cura per le proprie mani. Sappiamo che le nostre mani comunicano attraverso gesti e per questo la loro cura ha un ruolo importante nell’estetica. Le mani, più ancora del viso, vengono a contatto con gli altri, quando le porgiamo in segno di saluto, quando maneggiamo oggetti, quando beviamo al ristorante, quando ci spostiamo i capelli dal viso, portiamo anelli, ecc. mani belle e curate colpiscono in quanto contengono messaggi di affetto, di cura, di sensualità. D’altra parte, mani trascurate possono trasmettere stati d’ansia della persona. Possiamo trovare ad esempio nell’onicofagia un correlato corporeo che sottende a tale malessere. Sembra che l’onicofagia appartenga alla famiglia dei tic, intesi come movimenti consapevoli spesso coatti che servono a scaricare la tensione. Non bisogna confondere i tic con le compulsioni, in quanto quest’ultime sono gesti precisi messi in atto in una situazione precisa; mentre i tic sono gesti atemporali e sono meno legati ad una azione specifica. Inoltre il “mangiarsi le unghie” non sempre corrisponde ad un atto autolesionistico: possiamo invece dire che il soggetto onicofagico volge su se stesso un’azione che, se avesse ricevuto il sostegno ambientale adeguato alla sua espressione, avrebbe rivolto all’esterno, verso l’“altro”. Sembra infatti che nello sfondo della vita personale dell’onicofagico vi sia un modo diverso di vivere le emozioni. È come se l’emozione accompagnasse il gesto stesso di “mordersi le unghie”: essa infatti non è bloccata ma funge da autosostegno per la persona attraverso l’azione del mordere. Tale azione d’altra parte non induce la calma o riduce la tensione, per cui la persona non si placa dopo avere mangiato le unghie. Bisogna allora individuar la relazione tra il tipo di tensione e il tipo di tic (in questo caso l’onicofagia).
 
Una paziente una volta mi raccontò che l’atto di rosicchiarsi le unghie incideva in negativo in termini di forza, coraggio, nell’esporsi socialmente e nell’esprimere le sue emozioni. È importante allora accompagnare e sostenere la persona onicofagia nel suo processo di espressione delle emozioni che, se portate nell’incontro con l’“altro”, possono essere pienamente vissute.
 

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