Se lo psicologo non mi dà consigli che ci vado a fare?

Autore: Maria Rita D'Onofrio

Se lo psicologo non mi dà consigli che ci vado a fare?
I consigli sono come il sole d’inverno: possono illuminare ma non riscaldano. (Anonimo)

Molte persone si rivolgono allo psicologo come a un esperto che in virtù della sua esperienza e dei suoi studi elargisce fondamentalmente consigli, che fornisce le istruzioni per l’uso sulle varie situazioni della vita. Praticamente un moderno oracolo, che giudicherà se sbagliamo o no, o se sbagliano le persone intorno a noi, oppure ci confermerà, dall’alto della sua competenza, che quell’atteggiamento di nostro marito o di nostra moglie che ci fa tanto arrabbiare è sbagliato, che quindi quella persona è in torto e deve cambiare.

In realtà l’ultima cosa al mondo che uno psicoterapeuta deve fare è dare consigli!

Vediamo perché.

La relazione terapeutica non è una relazione qualsiasi, ma ha delle precise caratteristiche che la rendono diversa da ogni altra. Per esempio, è molto diversa dalla relazione con un amico. Pur essendo una relazione in cui l’aspetto di cooperazione riveste un ruolo importantissimo, non si può dire che sia una relazione paritaria, come non lo è qualsiasi relazione di aiuto. Questa non-parità è funzionale al lavoro terapeutico, perché garantisce al paziente l’ascolto, la piena disponibilità, l’esclusività dell’interesse verso di lui nelle sedute. La psicoterapia, infatti, ha come focus il paziente: a lui sono dovuti rispettoimpegnotrasparenzaattenzionecura.

In una relazione di questo tipo si sviluppano inevitabilmente dinamiche (che tecnicamente rientrano nel grande tema del transfert) che possono essere più o meno complesse, ma che includono un tema di cruciale importanza per lo svolgimento di una terapia: la fiducia del paziente verso il terapeuta.

Date queste premesse, se uno psicoterapeuta dà ad un paziente un consiglio, nella maggior parte dei casi accade qualcosa di particolare: il paziente non ha il distacco, l’autonomia necessaria per accogliere criticamente il consiglio del terapeuta. Lo segue e basta. 

Conosco persone che hanno venduto la loro casa, che hanno lasciato il lavoro, che si sono trasferite in un altro Stato su consiglio del loro terapeuta, e soltanto dopo si sono rese conto che quella non era la scelta migliore per loro in quel momento. 
Perché lo hanno fatto? Eh, beh, glielo aveva detto il terapeuta, sicuramente era la cosa giusta da fare!

Lo psicoterapeuta ha inevitabilmente potere nei confronti del paziente, e deve usarlo bene! 

Cosa vuol dire usare bene il potere?

Vuol dire utilizzare il carisma dato da quel preciso tipo di relazione per far sì che la persona possa impegnarsi nella terapia e affrontare il disagio di uscire dalla sua zona di comfort per cercare dentro di sé nuove modalità di rapporto con la realtà, sentendosi accolto e sicuro di essere sostenuto sempre e comunque

Dare consigli, al contrario, inibisce qualsiasi ricerca, qualsiasi impegno, qualsiasi fiducia nelle proprie risorse, perché fornisce una finta soluzione che viene dall’esterno: tutto il contrario del lavoro psicoterapeutico, che deve sollecitare e potenziare le risorse della persona perché possa trovare in se stessa la strada verso nuovi e più soddisfacenti equilibri e, in special modo, verso la propria autonomia.

Un consiglio esprime sempre una visione personale del problema, ovvero legata ai propri valori, alle proprie convinzioni e credenze. In quanto tale non è applicabile a un’altra persona, un’altra vita, un altro organismo. Lo psicologo per primo deve essere consapevole di questo. 

Peraltro un consiglio – giusto o sbagliato che sia in linea teorica – in ambito psicoterapeutico è in genere controproducente, e nel migliore dei casi è assolutamente inutile perché non fa crescere la persona che si rivolge allo psicologo.
Un consiglio da parte di uno psicoterapeuta può essere anche il miglior consiglio del mondo, intendiamoci: non parliamo qui di comportamenti fondati su malafede o secondi fini. Parliamo qui di comportamenti da evitare per salvaguardare la qualità della relazione terapeutica, che non deve assolutamente essere di dipendenza da parte del paziente.

Lo dice anche il Codice Deontologico.

Anche il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani fa riferimento in vari punti a condotte da evitare in base al principio fondamentale che lo psicologo deve astenersi dall’imporre il proprio sistema di valori al paziente. 

Nella versione commentata del Codice (Calvi-Gulotta) si evidenziano quattro imperativi guida che devono ispirare la condotta professionale. Il terzo di questi recita: “usare con giustizia il proprio potere: le conoscenze che appartengono allo psicologo lo pongono in una posizione di superiorità rispetto al cliente che ricorre a lui. Tale asimmetricità va gestita dal professionista con giustizia senza averne benefici, ma va sfruttata per il raggiungimento del benessere del cliente (facilitareaccompagnaresollecitare il cambiamento)”.

All’articolo 3 si legge: “In ogni ambito professionale [lo psicologo] opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stesse e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace. Lo psicologo è consapevole della responsabilità sociale derivante dal fatto che, nell’esercizio professionale, può intervenire significativamente nella vita degli altri; pertanto deve prestare particolare attenzione ai fattori personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici, al fine di evitare l’uso non appropriato della sua influenza.”
In conclusione.

Ricevere un consiglio può farci piacere, tanto più se viene da qualcuno che stimiamo. Ma in ambito psicoterapico i consigli non servono a nulla, e possono anche fare danni sia nello specifico che nella relazione con il proprio psicoterapeuta, che pur essendo asimmetrica non deve mai essere di dipendenza ma al contrario deve promuovere l’autonomia e la crescita personale. È più faticoso ma ne vale la pena, perché ci porta ad essere persone consapevoli delle nostre risorse e indipendenti dal giudizio e dal parere degli altri.


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