Persecutori e vittime: attori del senso di colpa

Autore: Maurizio Bottino

Persecutori e vittime: attori del senso di colpa Il senso di colpa ci lega a figure, non sempre reali, con catene spesso rette da idee irrazionali o da chiavi di lettura disfunzionali.
E' come se qualcuno fosse sempre lì a giudicarci, a dire "Hai sbagliato... tu sei sbagliato!".
E se é vero che, a volte, basta una parola, un libro, un'idea, un confronto con altri come noi per superare un senso di colpa... a volte ci vuole il lavoro di un'intera vita.
Ma, sempre e comunque, é un lavoro per cui vale la pena.

(M.B.) 

Il senso di colpa è un’emozione negativa esagerata che si verifica principalmente in tre situazioni:
- in presenza di una violazione di un principio etico o morale vissuto in maniera dogmatica;
- quando l’attenzione è focalizzata sulle conseguenze e non sulle azioni;
- quando riguarda il proprio essere in generale e si ritiene che in noi ci sia qualcosa di intrinsecamente sbagliato (possiamo definirlo come senso di colpa “esistenziale).

Spesso, il senso di colpa è accompagnato dal provare determinate emozioni. Fra queste:
- la paura della disapprovazione, 
- quella di provare una rabbia incontrollabile,
- il timore di non piacere al proprio/a partner,
- la convinzione di essere debitori verso qualcuno,
- la certezza, immotivata, di essere - comunque - inadeguati;
- la credenza di essere “cattivi” ed egoisti laddove si decidesse di non fare qualcosa che è necessario e/o richiesto dall’altro.

Ecco allora che una definizione erronea delle definizioni e degli schemi di partenza comporta scelte ed atteggiamenti successivi non appropriati che generano problemi di relazione, ambiguità e difficoltà nell’incontro con l’altro.

Soprattutto si instaura nella persona un malessere costante che, nel corso del tempo, trova spazi diversi in cui manifestarsi: sensi di colpa prima verso i genitori, poi verso il partner e di seguito verso l’esterno (figli, società, Dio, gruppo di appartenenza, …).

Il senso di colpa è spesso alimentato dal cosiddetto “ricatto morale”: una serie di azioni ed atteggiamenti agiti da persone, il più delle volte importanti nella nostra vita, che
- minacciano di renderci la vita difficile se non viene fatto quello che vogliono;
- minacciano di concludere la relazione con noi se non ottemperiamo a quanto ci chiedono;
- dicono, o ci fanno capire, che si trascureranno, si faranno del male o si sentiranno depressi se non facciamo quello che vogliono;
- non si accontentano mai, vogliono sempre di più, indipendentemente da quanto abbiamo già dato;
- sono sempre, e in tal modo si comportano, che saremo noi a cedere;
- banalizzano e ignorano il nostro sentire o ciò che desideriamo;
- fanno promesse in relazione al nostro comportamento, ma non le mantengono aumentando le richieste,
- se non rispondiamo alle richieste e rifiutiamo di cedere, veniamo accusati di essere egoisti, malvagi, avidi, freddi o indifferenti;
- sono pronti alla lode ed alla gratificazione quando cediamo, ma attuano un feroce svilimento ed una  ingiusta svalutazione quando opponiamo, anche se con modalità morbide, le nostre ragioni;
- usano il denaro, promesse di carriera o di vantaggi di vario tipo, come mezzo per ottenere quello che vogliono.

Di fatto, tali persone applicano un ricatto morale e diventano una sorta di persecutori che, alcuni autori, classificano in vari modi. Fra questi è interessante la classificazione che ne fa Susan Forward:

- Persecutore punitivo, che agisce l’aggressività sulla vittima, negando il suo diritto ad esserci e ad esprimere il proprio vissuto ed i propri pensieri. In questi casi, può accadere che la  vittima, per difendersi, attui comportamenti di fuga, nonché inizi a mentire per giustificare i propri comportamenti. Si possono osservare queste dinamiche nelle relazioni dove è presente un’asimmetria coniugale tra partner, oppure quando la relazione affettiva è in procinto di finire.

- Persecutore autopunitivo, che agisce l’aggressività verso se stesso, attribuendo allo stesso tempo le cause al comportamento della vittima. In questa relazione regna il ricatto, specialmente nei casi di triangolazioni fra genitori-figli e nei casi di tossicodipendenza e alcolismo. Il persecutore autopunitivo può arrivare a minacciare il suicidio per raggiungere i suoi obiettivi (se mi lasci mi uccido; se mi cacci di casa, mi ritroverai in ospedale, diventerò un barbone…).

- Persecutore vittimista, che accusa l’altro attribuendogli le responsabilità di ciò che sta avvenendo e dei suoi problemi; in questo caso, non sono presenti delle chiare minacce nei confronti della vittima, che tende però ad esperire sentimenti di impotenza e comportamenti iperprotettivi verso il persecutore.

- Persecutore seduttore, che presenta delle “prove” da superare con relative promesse non mantenute nei confronti della vittima; in questi casi, il persecutore può richiedere dei favori alla vittima, promettendo al contempo delle lodi e garantendo il soddisfacimento “apparente” di determinati bisogni. In questi casi, la vittima ha l’illusione che qualcuno si occupi veramente di lei, provando un fittizio senso di gratificazione.

Cosa prova realmente la vittima? Che convinzioni sviluppa?
Accade spesso che la vittima minimizza l’accaduto, autoilludendosi che “cedere” alle richieste altrui non sia poi così grave e, allo stesso tempo, permetta di evitare la sgradevolezza di eventuali conseguenze (perdita della relazione, vissuti emotivi sgradevoli, etc.). La vittima potrà sentirsi imbarazzata, impotente, spaventata e, allo stesso tempo, piena di risentimento. Molto spesso si ripete che, in fondo, le richieste del persecutore sono giuste, sono proposte per il suo bene e che tali azioni sono agite dal persecutore per un fine positivo ed un ipotetico bene a cui lei stessa, pur non riuscendo a capirlo, sente di dover aderire per una fiducia immotivata che la muove ad una adesione acritica.
 
In che modo la vittima può uscire da questa situazione?
Qualora il persecutore manifesti una posizione svalutativa, può essere opportuno confermare e/o accogliere assertivamente ciò che esprime (ad es: potrebbe essere vero; forse hai ragione; hai il diritto di avere le tue opinioni; mi spiace che tu sia arrabbiato). In questo modo, viene esplicitato il gioco psicologico sottostante e, soprattutto, non si rischia di colludere con la sua minacciosità.

Quando il persecutore assume, invece, una posizione dubitativa, è importante restare concentrati sul proprio scopo, evitando di cadere nella trappola dell’invischiamento, limitandosi a comunicare la propria decisione senza rispondere ad un “perché” con altri “perché” che avrebbero solo una valenza giustificativa. La giustificazione è il cuore del problema in quanto nel concetto stesso di giustificazione si accetta l’accusa… aderendo al gioco del persecutore! In presenza di un rapporto sano è fecondo chiedere il perché di certe scelte e/o posizioni e bello fornire le motivazioni che le sostengono. Motivazioni che possono vedere anche una non condivisione che, sempre, deve rispettare la decisione dell’altro soprattutto laddove tali scelte interessano la vita del singolo e non interagiscono nella relazione duale. Tipico è l’atteggiamento del genitore che “orienta” il figlio verso studi non rispondenti al desiderio di quest’ultimo o gli “propone” un’attività professionale di famiglia che, seppure realmente interessante, non risponde ai desideri del figlio.   

Se, invece, viene assunta dal persecutore una posizione minacciosa, si aprono vari scenari. Nei casi di minacce contenute (sia rivolte all’altro o a se stesso), la vittima può esplicitare che tale schema non ha più un effetto su di sé, rimandando la conversazione ad un momento in cui il persecutore si sente meno frustrato e/o arrabbiato. “Se mi lasci ti faccio terra bruciata intorno, te lo giuro” > “Spero che non lo farai, ma io ho già preso la mia decisione”. Nelle situazioni di coppia e nei casi più gravi di minacce e/o violenze fisiche a danno di una donna, tantopiù se reiterate, la scelta è obbligata: immediato allontanamento, denuncia all’autorità giudiziaria, richiesta delle misure coercitive ex art 282 ter c. 1 e 3 c.p.p. (divieto avvicinamento e divieto di comunicare con qualsiasi mezzo). Sono mezzi estremi che rispondono, purtroppo a situazioni che, non sempre vengono vissute come estreme. Si assiste, quotidianamente, a situazioni in cui la vittima “giustifica” l’atteggiamento violento del partner con motivazioni protettive (ha sofferto da bambino, è stato in collegio, ha perso la mamma, è stato licenziato, lo fa solo quando beve o fa uso di cocaina…). Non è da sottostimare la colpa reale e grave che l’avallo di certe situazioni, da parte della vittima, crea un impedimento sia alla crescita di entrambi i partner che alla strutturazione di una relazione sana. 
 
Di fatto, l’azione più importante al di là dei vari tecnicismi relazionali o delle presunte risposte esatte, risiede nel riconoscere autenticamente se stessi e, allo stesso tempo, attribuire alle figure di riferimento con cui ci si relazione quotidianamente una figura importante, ma non deterministica.
È il primo passo per iniziare ad “uscire fuori dagli schemi”, spezzando il circolo vizioso che si è venuto a creare nel tempo con il proprio persecutore.
Una parte fondamentale per uscire dagli schemi é una rivisitazione della valenza di certi valori che, spesso, si danno come inamovibili anche quando la vita ci ha mostrato che non é più come sarebbe dovuto essere. Per esempio il valore dell'amicizia che tracima in complici collusività, il mantenimento di una apparente unità familiare in presenza di gravi situazioni che coinvolgono anche i minori, la passiva e complice accettazione di situazioni di marcata ingiustizia motivate dal rispetto per le persone anziane... 

Ma non finisce qui!
La sola eleborazione del senso di colpa, spesso, non sana lo stato di disagio interno perché non esistono solo i sensi di colpa. Ci sono le colpe, quelle reali, le azioni che hanno procurato un danno a qualcuno, spesso a noi stessi, ed agite in maniera più o meno consapevole, ma non per questo meno dannosa.
Si tratta di leggere, interpretare ed elaborare le azioni malevoli agite (e subite) e trovare una modalità, reale, di recupero dove il sano rimorso ed il perdono sono passaggi ineludibili.
 
Sarà il tema di altri articoli in cui parleremo di colpe reali, conseguenza di azioni volute o meno, di sano rimorso, di recupero dell’agito malevolo, di responsabilità ed accettazione dell’errore, del perdono a noi stessi e agli altri… e di tanto altro molto più doloroso della semplice permanenza nel senso di colpa ma, diversamente da questo, evolutivo e vitale.
 
Per approfondire l’argomento vedi il video del seminario "Il senso di colpa"

 
 
Nota: Premendo il tasto “Vai al video” si accede alla piattaforma di Formazione Puntopiù dove è possibile vedere un'anteprima del webinar e, se desiderato, procedere all’acquisto. Contestualmente alla richiesta di registrazione, necessaria per l’emissione della fattura di acquisto, si crea in automatico una scheda personale in cui saranno presenti tutti i video acquistati e quelli gratuiti che si desidera acquisire.
Attraverso il login è possibile entrare nella propria scheda e rivedere i video con qualsiasi dispositivo.
Nella sezione Vai al Catalogo Corsi è possibile consultare i videocorsi disponibili gratuitamente o acquistare eventuali webinar in programmazione.


______________________

Indicazioni bibliografiche
• Belardinelli Gino, La psicologia di fronte al problema della colpa - Tipografia SATA (1984)
• Castelfranchi Cristiano, D’Amico Rita e Poggi Isabella, Sensi di Colpa - Giunti Editore (1994)
• Dryen Windy. Superare il Senso di Colpa - Calderini Editore (1994)
• Forward Susan (con Donna Frazier), Il Senso di Colpa – Corbaccio s.r.l. Milano (1997)
• Giusti Edoardo e Bucciarelli Riccardo, Terapia del Senso di Colpa - Sovera Edizioni (2011)
• Jampolsky Gerald, Addio ai sensi di colpa - Edizioni Essere Felici (2002)
• Lerner Harriet, La danza della rabbia  - TEA Pratica (1998)
• Mercurio Antonio, Amore, Libertà e Colpa – Psicoanalisi e Cristianesimo a Confronto - Bulzoni Editore (1980)

 

Categorie correlate