La violenza sulle donne

Autore: Orenada Dhimitri

La violenza sulle donne  
Il fenomeno della violenza e la spirale della violenza
 
Secondo i dati ISTAT, nel 2015, il 35% delle donne nel mondo ha subito una violenza fisica o sessuale dal proprio partner o da un’altra persona.
 
In Italia nel 2014 sono 152 le donne uccise per femminicidio, e secondo i dati ISTAT di Giugno 2015, e una donna su 3 (circa 7 milioni, tra i 16 ed i 60 anni) ha subìto violenza fisica o sessuale nel corso della sua vita, mentre il 12% non ha avuto la forza di denunciare la violenza subìta.
 
I dati raccolti sottolineano come sia le donne stuprate e picchiate, sia gli uomini che usano loro violenza, appartengano a tutte le età, condizioni economiche, classi sociali, provenienze etniche e culturali. In circa il 50% delle coppie sposate si è verificato almeno un episodio di violenza diretta tra i coniugi: l’atto violento all’interno della coppia rappresenta infatti l’espressione costante di un comportamento volto ad instaurare e mantenere una forte asimmetria di potere nella relazione uomo-donna.
 
Quando si parla di violenza, si pensa immediatamente a quella fisica. Invece, la violenza può avere tante forme più sottili, ma non per questo meno dannose. Tutti quei comportamenti che compromettono l’autostima, la dignità personale, la voglia di vivere sono infatti atti violenti, anche qualora non arrechino danno fisico visibile. Adottare atteggiamenti di denigrazione, controllo e sottomissione – mirati a svilire il modo d’essere dell’altro, fino a considerarlo un oggetto – ha come scopo principale il malcelato tentativo d'instaurare una qualche forma distorta di “potere”: la creazione di una relazione prepotente/sottomesso attraverso cui s'intende soppiantare una parità di ruoli che, per debolezza, non si riesce a sopportare e gestire.
 
La donna sottoposta a violenza subisce un processo di vittimizzazione che inizia con un primo episodio critico di violenza emotiva, seguito dalla volontà di riconciliazione. La vittima e il suo l’aggressore assumono atteggiamenti affettuosi reciproci, vivono una forma di secondo “innamoramento” che solo in apparenza sembra risolvere il conflitto, quando in realtà non è così. La tensione infatti si ricostruisce nuovamente, fino ad arrivare ad un secondo episodio di violenza e/o abuso e successivamente, ancora ad un altro, e un altro ancora. Nel corso del tempo, gli episodi di violenza tendono a diventare sempre più brutali, manifestandosi ad intervalli di tempo sempre più riavvicinati; e così che, gradualmente, la volontà di riconciliazione da parte di entrambi sparisce.
 
Si entra allora in quel circolo di violenza paragonabile ad una spirale, caratterizzata da stadi successivi che minano profondamente, fino a distruggerla, l’autostima della vittima: si inizia con intimidazioni, poi con l’isolamento, seguito da svalorizzazione e segregazione, passando per l’aggressione fisica e/o sessuale con false riappacificazioni, fino ad arrivare al “ricatto” dei figli.
 
 
Chi agisce violenza?
 
Il comportamento dell'uomo che usa violenza è stato paragonato a quello usato dai torturatori per annientare le loro vittime, ed è caratterizzato da identici effetti destabilizzanti. Si tratta di vere e proprie strategie finalizzate a esercitare potere sull'altra persona, utilizzando modalità di comportamento atte a controllare, umiliare, denigrare e infliggere paura. La violenza agìta dall'uomo all'interno della famiglia tende, in tal modo, a stabilire e a mantenere un clima di controllo sulla donna (e sui figli) che può arrivare fino all’abuso.
 
Non esiste un profilo particolare di soggetto violento da cui rifuggire. Solo il 10% di essi è affetto da psicopatologie conclamate; nella maggioranza dei casi a generare violenza, sono invece, cause psicologiche che potremmo quasi definire “normali” (p.e. frustrazione, situazioni quotidiane stressanti, etc.). Non risultano fattori protettivi o favorenti, come l’età, il gruppo (etnico, religioso, socioeconomico) o la professione. E’ bene anche notare che, nella maggior parte dei casi, gli autori di violenza sono persone ben conosciute e molto vicine alle vittime, come un amico, il datore di lavoro, un collega, un insegnante, un compagno di classe, oppure possono avere avuto una relazione pregressa, come un ex fidanzato, oppure avere una relazione in corso, come l’attuale partner.
 
Il profilo di chi agisce violenza è comunque universale, caratterizzato da labilità emotiva e difficoltà nel controllo degli impulsi. Chiunque non sappia contenere le frustrazioni è più facilmente portato ad infliggere violenza. Le frustrazioni represse si cronicizzano fino a raggiungere un culmine in cui si supera la soglia della loro gestione e sopportazione; ed ecco che, all’improvviso, esplode la violenza.
 
Spesso, in chi agisce violenza, si riscontra una sorta di ipertrofia dell’autostima: a causa di questa anomalia, si ha bisogno di una costante attenzione e ammirazione dalla parte del partner. La percezione dell’indifferenza o del rifiuto sono motivo di un dolore, talmente profondo, che può scatenare una furiosa reazione di sconcerto e rabbia.
 
Per esempio, a generare aggressività, può essere la discrepanza tra le aspettative di coppia e la realtà della vita vissuta. Nelle famiglie poi, convivono spesso persone (genitori, figli e nonni) con personalità e aspettative differenti. Si creano così conflitti relazionali e contrasti generazionali che richiedono competenze psicologiche generalmente assenti nel nucleo familiare: quali il saper discutere e confrontarsi (p.e. focalizzando il problema), il saper gestire i conflitti (p.e. non fossilizzandosi su quelli passati), il saper negoziare e mediare, fino ad arrivare a scardinare stereotipi che incatenano entrambi i sessi (p.e. eliminare l’errata convinzione che nel mondo esiste sempre chi comanda e chi subisce; oppure evitare di educare i figli maschi come unici ed esclusivi detentori di potere; etc.).

Come uscire dal circolo vizioso della violenza?
 
La donna che subisce violenza è una donna normale; una donna normale che è stata oggetto di un’azione terribile, che l’ha sconvolta e resa inerme. E’ quindi portatrice di sfiducia, fallimento, vergogna, paura, senso di colpa. Come primo atto immediato ha bisogno di essere accolta ed ascoltata in questa sua profonda sofferenza.
 
La violenza, in qualsiasi modo venga esercitata, lascia sempre una traccia profonda nella personalità di chi la patisce. Spesso la donna che subisce violenza non ha la consapevolezza di ciò: è quindi necessario dimostrarle che quanto ha vissuto non era espressione di un rapporto d’amore (come credeva) ma, piuttosto, d'insana sottomissione e dipendenza (come, molto spesso, non riesce ad accettare).
 
Per ogni donna, la fine di un rapporto comporta una destrutturazione, il crollo di un assetto psicologico che aveva lentamente e faticosamente costruito nel tempo. In questi casi, manifestare piena solidarietà ed empatia, senza avere pregiudizi o atteggiamenti giudicanti, è fondamentale. Cercare, individuare e nutrire tutta una serie di intime risorse quiescenti - conquistando così consapevolezza della propria preziosa unicità - diviene poi essenziale per avviare un pieno processo di ristrutturazione e rinascita psicologica e personale.


Categorie correlate