La perdita e le sue emozioni

Autore: Pietro Mignano

La perdita e le sue emozioni Il termine perdita viene spesso associato al concetto di lutto, ma tutta la vita verte sulla bisogno di vincere, di conquistare, di raggiungere traguardi e obiettivi, di competere con qualcuno o con qualcosa per raggiungere i nostri scopi in termini di gratificazione, di amore proprio, o in termini di vivere bene, di vivere all’interno di ciò che è ritenuto “normalità” o anche solo adeguamento allo stile di vita.
Ci si può chiedere cosa succede quando questo non avviene e quindi quando invece di parlare di conquista o di soddisfazione personale, si deve parlare di perdita.
La tematica della perdita è qualcosa che ci accompagna fin dalla nascita, da quando il feto è obbligato a perder l’ambiente intrauterino, dove tutto è in pace, tranquillo e tutti i bisogni sono soddisfatti nell’immediato.
Dalla nascita in poi la vita è caratterizzata da un continuo susseguirsi di cambiamenti ed è possibile interpretare ogni cambiamento come una perdita del vecchio stato e l’acquisizione di uno nuovo.
Nelle prime fasi di vita le perdite sono marginali, o possono essere vissute come conquiste, ma nel proseguo della nostra esistenza è possibile perdere una partita di calcio,  un’amicizia, un lavoro, un proprio caro… in fasi più adulte si può perdere inoltre la sicurezza  economica,  il senso di dignità personale, la realizzazione lavorativa,o anche l’autonomia economica o fisica a seguito di incidenti o malattie.
 
Ciascuno ha la propria storia di perdite che possono essere caratterizzate da emozioni di dolore, commisurate sia all’importanza di quanto che è stato perduto che alla tipologia di personalità della persona.
Non tutti reagiamo allo stesso modo e con le stesso dolore davanti adad una perdita; ciascuno si relaziona cioè alle sue perdite diversamente, sembrandoci che la  nostra sia per noi la moalità più funzionale per gestire il dolore.
Qualcuno prende contatto con le proprie emozioni consentendosi la possibilità di sentirle ed esternarle in modo liberatorio, mentre altri faticano nell’accedere alle proprie emozioni negative di tristezza, malinconia, rabbia, paura, senso di smarrimento.
E’ come se facessimo fatica ad accettare cioè le perdite e l’emotività relativa, continuando a rivivere, senza renderci conto, lo stesso dolore, che cerchiamo tenere lontano da noi, magari anche solo per il timore di essere fragili o di farci vedere deboli dagli altri, di non avere le risorse o il tempo di accoglierlo a braccia aperte.
Può essere importante chiederci quanto è difficile accettare le nostre emozioni, quanto siamo soliti  fingere che  se non esistano, “mandandole giù”… ma quanto è faticoso comportarsi come se non esistessero e non darle a vedere agli altri e a noi stessi?
 
Spesso cerchiamo di  nascondere le emozioni negative di dolore, che si possono comunque manifestare in altro modo, magari anche solo semplicemente con un’elevata tensione emotiva, la quale si può esprimere con sintomi psicosomatici: difficoltà a mangiare (o eccessiva alimentazione), stanchezza psicofisica, facile irritabilità, difficoltà del sonno, poca concentrazione…
Si attiva cioè un processo automatico, quindi inconscio, di controllo delle emozioni, che avviene cioè senza esserne pienamente consapevoli.
 Per comprendere quali possono essere questi effetti di questo controllo, basta pensare al caso del controllo forzato delle emozioni positive, che avviene in modo consapevole: ci ricordiamo per esempio quanto era  difficile mentre l’insegnate spiegava trattenersi dalla risata che ci veniva causata dal nostro vicino di banco; si cercava di trattenersi con la fatica di tutto il corpo che si irrigidiva: l’emozione di ilarità si trasformava in tensione del corpo, anche se talvolta non era possibile evitare di scoppiare lasciandosi andare in una risata liberatoria.
 
Dolore e sofferenza
Il dolore appartiene alla condizione umana, tanto che può essere visto come un segnale di allarme, che ci allerta di una possibile minaccia: “il dolore è un mec­canismo somatico di protezione… motiva il paziente a proteggere le zone dolenti, a evitare gli stimoli nocivi, a cercare aiuto” (Erickson 1982).
E’ bene quindi non sminuire il nostro dolore derivante da un vissuto di perdita, perché questo vorrebbe dire non elaborarlo, non accettare una parte di sé e non prendersi cura di noi stessi.
E’ altresì importante poter essere aiutati ad accettare, vedere, sentire ed esprimere il proprio dolore, condividendolo con qualcuno, magari anche con un bel pianto liberatorio.
Essere addolorati, tristi, affranti … sono condizioni normali e naturali, che fanno parte della vita di ciascuno e come tale, per quale motivo nasconderli?
 
Per molte persone a fronte di una perdita il dolore è visto come segno di debolezza e, senza neanche ascoltarlo,  non lo affrontano e pretendono di buttarselo alle spalle.
Un percorso di psicoterapia può rispondere al bisogno di vedere ed accettare anche le emozioni poco piacevoli, che continuano a “frullare” dentro di noi, anche se cerchiamo di non ascoltarle.


Categorie correlate