Il falso progetto di coppia

Autore: Maurizio Bottino

Il falso progetto di coppia Appare che alcuni si siano scelti per distruggersi: a volte con violenze reali, più spesso con azioni e silenzi che levano senso allo stare insieme e piacere alla vita.
Viene da domandarsi: ma si sono scelti o trovati?

Che cosa distingue una banconota vera da una banconota falsa?

A vederle, può capitare, che la falsa sia più bella della vera. Ma quella vera è portatrice di un valore: a fronte dell’importo nominale, in passato, c’era un equivalente in oro depositato nelle casse dello stato; attualmente altri meccanismi economici stabiliscono questa corrispondenza.

Non così per quella falsa in cui né la bellezza della filigrana, né l’accuratezza della stampa o la rispondenza dei colori potrebbero renderla autentica: il suo valore è solo apparente. Non serve stampare banconote se non c’è un legame tra il valore reale e la banconota stessa, perché essa deve essere in corrispondenza e rappresentativa di questo valore.

Il rapporto di coppia può essere falso perché non è rappresentativo di un valore reale. Il termine falso non è una valutazione della coppia in sé, ma vuole evidenziare la mancata corrispondenza tra le azioni dei due partner e “qualcosa” che, nella coppia, dovrebbe costituirne il valore.

Prima di addentrarsi in questo qualcosa è necessario domandarsi: come si instaura un rapporto di coppia?

Le persone si incontrano, si piacciono e, se le cose vanno per il verso giusto, dopo un po’ si dicono “Mi sono innamorato di te.” o, ancora peggio, “Ti amo.”. Perché peggio?

Perché esistono dei passaggi che, seppure nella diversità delle persone e del loro modo di comportarsi, possano anche non essere osservati, ma sicuramente vanno conosciuti.

Nell’ambito dei rapporti di coppia, quando tra le persone scatta qualcosa, il più delle volte ciò che si attiva è un’azione feromonica o legata al mondo istintuale.

L’aspetto fisico, gli odori, il colore dei capelli e la levigatezza della pelle, il modo di camminare e di gesticolare sono modalità che, per qualche ragione, appartengono al nostro modo di comunicare e noi li riconosciamo nell’altro. É la fase in cui l’altro è perfetto: piace, c'è qualche cosa che ci coinvolge, fa piacere vederlo, sentire la sua voce, pensarlo.

In questa prima fase non c'è nessun innamoramento: si è nello spazio dell’infatuazione, dell’adesione acritica all’altro e al suo mondo; una modalità adolescenziale, ma ampiamente condivisa da ampie fasce della popolazione.

É il tempo dei weekend in agriturismo, delle passeggiate romantiche e del sesso coinvolgente. Questi rapporti funzionano soprattutto se i due partner vivono lontani, hanno poco tempo da trascorrere insieme, fattori che non permettono un'evoluzione del rapporto, ma favoriscono, invece, l'aumento del desiderio: ogni volta che ci si rincontra, in una coazione a ripetere, si rivive una situazione ludica ma non evolutiva. Si cerca di rendere eterno il momento e, su queste premesse, non pochi rendono concreto un legame più stabile con progetti, a volte, molto impegnativi quali una convivenza o un figlio.

La fase successiva è altra cosa: l’innamoramento è lo spazio della condivisione conoscitiva. Io voglio stare con te per conoscerti. Molti pensano che conoscersi sia condividere la stessa musica o fare viaggi, leggere i poeti francesi o andare alle mostre degli impressionisti. Cose meravigliose, ma il più delle volte, disgiunte da quella che dovrebbe essere la vera funzione conoscitiva dell’altro: interessarsi non solo di come sta, ma di dove sta.

Cosa prova, cosa sente, come vive il dolore, la bellezza, il godimento,… “dove sei e dove vivi dentro” (1). L’innamoramento dovrebbe portare a conoscere la persona, a vederla nella sua intimità. Ma ancora non si può dire “ti amo”. É vero che “Ti amo” si dice anche il secondo giorno: nel momento della passione, nel momento in cui si intravede che l’altro è come si è sempre desiderato, quando egli riesce ad entrare in un’ansa del fiume della nostra anima dove il dolore ha fermato l’acqua.

In questa fase devono emergere con chiarezza i bisogni arcaici non elaborati, le richieste proiettive, le pretese antiche. Ci si dovrebbe reciprocamente e consapevolmente sfruttare nel divenire sempre più consapevoli di se stessi. Il voler bene dell’uno è un’occasione che la vita offre all’altro per raggiungere sufficiente autostima, autonomia, voglia di vivere. Si dovrebbe raggiungere, dopo l'innamoramento, una relazione con l'altro in cui, sostanzialmente, i bisogni primari di entrambi i partner siano stati soddisfatti.

Si intravede il lungo percorso che deve partite dall’ IO per passare al TU e, molto dopo, al NOI. Si intravede, in questa fase, lo spazio in cui si è autorizzati a dire ti amo: posso dirlo solo se non si ha bisogno dell’altro. Se ho bisogno di te, se non riesco a vedermi senza di te, se non ti vedo separato da me, se non posso pensare alla tua perdita, comunque avvenga, non posso dirti il mio amore.

Stare insieme per riempire la vita dell’altro che, altrimenti, sarebbe vuota, non è un progetto d'amore, ma la risposta ad un bisogno.

Si sente dire spesso, dopo il matrimonio (2), “Io credevo che lui fosse diverso.” evidenzia una tematica presumibilmente già evidente, ma che i due partner non sono stati in grado di vedere: io mi aspetto da te qualche cosa. Sembra assurdo a dirsi, ma quando due si sposano uno non dovrebbe aspettarsi niente dall'altro se non che l'altro lo aiuti a diventare migliore, se non a farlo crescere da bambino ad adulto.

I suddetti passaggi non sono così matematicamente determinati: è evidente che nessuno arriverà al matrimonio con tutti i buchi affettivi risolti, ma è importante conoscere la distanza tra questi ed il nostro vissuto.

Superati i primi due passaggi, l’infatuazione e l’innamoramento, può iniziare un rapporto più profondo con l'altro. Io non mi aspetto che l'altro sia la risposta alla mia vita, non mi aspetto che sia colui che risponde ai miei bisogni, che riempia i miei vuoti, che accolga tutti miei tempi lenti nel decidere, non ho la pretesa che sia lì per me. Vivo l’altro come un dono e come tale me lo godo.

A questo punto, ci possiamo porre una domanda di base e non è “Perché mi sposo XY?”, ma è “Perché mi sposo?”. Molti formulano la prima domanda senza essersi dati una risposta alla prima.
Io mi sposo perché nello stare insieme con un altro potrò diventare una persona migliore, potrò “crescere”.

Alla luce di questo, la risposta alla prima domanda non potrà essere perché è dolce, perché mi capisce, perché fa bene l’amore, o cucina bene (?!?). Ma perché mi aiuterà a realizzare il mio progetto: “L’amore serve a scoprire il segreto dei vostri cuori e a scoprire insieme il segreto del cuore della Vita”. (3)

Io scelgo l’altro (proprio quello) perché mi mette a contatto con quelle parti preziose di me stesso che da solo non riuscirei a valorizzare e a far emergere in maniera creativa. L’altro mi aiuta a perseguire il mio progetto.

Ma cos’è questo progetto?

Il progetto è ciò che rimane quando si è perso tutto; per molti quello che rimane quando hanno azzerato tutto è il nulla, il vuoto!

Per molti il progetto è fare qualcosa, farlo insieme se siamo una coppia. Per cui il mutuo per la casa, i mobili, la casetta al mare, restauriamo il vecchio casale abbandonato. Anche fare figli, per molti, è un progetto. Ma Fromm (4) insegna che il vero progetto si trova nello spazio dell’essere e non dell’avere.

Il progetto di coppia è un doppio progetto individuale in cui l'altro ci aiuta in questo percorso; non è la somma algebrica dei due progetti, ma lo spazio che i partner sapranno costruire attraverso la condivisione non solo dei fatti della storia comune, ma soprattutto degli spazi interni esplorati singolarmente con l’aiuto dell’altro e delle acquisizioni derivate.

In una dimensione adulta la frase, spesso banalizzata, “L’amore basta all’amore.” è di una pregnanza enorme: la mia felicità è vedere te realizzarti come Persona.

Da questo si può intuire quanto sia importante che l’energia che investo nel rapporto non serva a chiudere i miei o i tuoi buchi antichi perché sarebbe distolta dall’essere messa nella relazione. Io, che sto bene da solo, io che non ho bisogno di te, che ti ho conosciuto durante l'innamoramento, ho avuto belle emozioni durante l’infatuazione, ho sentito cose che mi corrispondevano… ti scelgo perché sento che tu puoi aiutarmi a realizzare il mio progetto.

Diventa banale l’osservazione che parlare di progetto apre orizzonti enormi. Abbiamo visto che il progetto non è fare o avere, ma essere. Ma chi ci dice che mentre pensiamo di lavorare per l’essere ci muoviamo invece nello spazio di un bieco avere o di un nevrotico fare?

Ebbene, la persona più autorevole a dirci che stiamo andando in una direzione sbagliata è proprio il nostro partner, quello che meglio di tutti ci (dovrebbe) conosce(re) ed è in grado di smantellare le false motivazioni che produciamo quando abbiamo perso di vista la meta. È in questa fase che si vede la preziosità del processo di crescita di cui abbiamo parlato: a fronte di una capacità separativa dall’altro si è più efficaci nel vedere le sue parti ombra senza divenire collusivi o deresponsabilizzanti. Viene tenuto a freno l’archetipico dell’Angelo Custode Ombra che, nel tentativo malato di difendere il suo protetto, ne facilita il processo distruttivo.

Emerge con chiarezza che il progetto non è il conseguimento di una meta.

Il progetto è l’azione di mantenimento di un’attitudine interna; è il tentativo del comandante della nave di dirigere la prua nella direzione indicata dalle stelle, indipendentemente dall’effettiva rotta mantenuta. Spesso le tempeste della vita ed i venti contrari non permettono di dirigere la prua dove vogliamo, ma non è questo l’importante.

La cosa importante è non scambiare la meta con il mezzo utile ad ottenerla. Comprarsi una macchina non è un progetto. Il progetto è fare il viaggio.

Così come comprarsi una casa al mare può essere anche il mezzo utile ad un uomo per diventare Madre. Invitare amici, soprattutto quelli che, pur avendo la barba ed occupando posti importanti nel contesto civile, hanno bisogno di calore e sono soli. È enorme il percorso di crescita che un uomo può compiere laddove desideri diventare capace di accogliere, condividere e dare amore. Un uomo con un utero ideale, capace di gestare, come la donna che gli sta a fianco. Lei davvero lo può aiutare: lei che è femmina, magari ha partorito dei figli, li ha accolti, allattati, una condivisione che non va a colmare bisogni, ma a creare nuovi spazi.

Ancora si può fantasticare di inserire un altro progetto, educativo per i figli: l’apertura verso il diverso concretizzato, per esempio, dall’ospitalità verso bambini ucraini bisognosi di un periodo di mare. Il confronto con il diverso apre spazi in cui si può insegnare a superare la paura ed il pregiudizio… si è percorso il sentiero dell’essere.

Il kernel del progetto di coppia non è fare o avere cose insieme, ma aiutarsi reciprocamente ad essere se stessi e a perseguire il proprio progetto individuale dove il fare e l’avere possono essere mezzi per realizzare questo progetto, ma mai potranno sostituirlo. Se ciò accadesse i due partner, mentre corrono verso l’albero del fare e dell’avere, perderebbero, inesorabilmente, parti preziose di loro stessi.

In conclusione: il progetto è una dimensione di crescita e di cammino permanente la cui direzione è, banalmente, l’amore nelle sue infinite sfaccettature.

Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,… Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, …Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente.” (5)

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(1)  Enrico Ruggeri, I dubbi dell’amore, cantata da Fiorella Mannoia
(2)  I termini “matrimonio” e “sposarsi” per indicare il passaggio ad una vita strutturalmente e/o socialmente condivisa, indipendentemente dalla tipologia della coppia e del legame.
(3) Gibran Kalhil Gibran, Il profeta - Guanda Editore
(4)  Erich Fromm, Avere o Essere? - Mondadori
(5)  Lettera ai Corinzi, cap. 13
 

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