Psiconcologia: accompagnare la vita, anche quando fa paura

Autore: Giulia Spanu

Psiconcologia: accompagnare la vita, anche quando fa paura “Forse tutta la vita è una lunga preparazione al morire.E forse morire non è la fine, ma il passaggio più importante di tutti.” (Michelangelo)
 
Quando lo psicologo diventa presenza
Entrare in un reparto oncologico significa attraversare un tempo diverso. Un tempo che si fa denso, rallentato, essenziale. Dove la vita si misura in cicli, in analisi, in respiri sospesi.
È lì che lo psicologo diventa presenza viva, che ascolta anche ciò che non viene detto. Non ha il compito di “aggiustare” nulla, ma di stare accanto. Accanto alla paura, all’attesa, al dolore, alla speranza. È una psicologia che non rimuove la fragilità, ma la accoglie. Che non propone certezze, ma costruisce senso insieme. Che lavora sul limite, senza mai perdere la tensione verso la vita.
 
La psiconcologia accompagna tutto il percorso
La psiconcologia nasce per sostenere chi affronta un tumore, ma anche i familiari, il personale sanitario, chi attraversa questo territorio complesso e mutevole.
Il supporto psicologico può intervenire in ogni fase:
- dalla diagnosi, che spesso arriva come un trauma improvviso
- ai momenti di trattamento, che modificano il corpo e l’identità
- fino alla remissione, che non sempre porta serenità
- o, in alcuni casi, alla preparazione alla fine.
In ogni tappa, lo psicologo è lì: per offrire spazio, parole, strumenti... per aiutare la persona a non perdersi, anche quando tutto sembra franare.
 
La guarigione: rinascita possibile e spesso silenziosa
La guarigione fisica non è solo possibile: è una realtà quotidiana nei reparti oncologici. Ci sono pazienti che tornano a vivere pienamente. Corpi che rispondono, terapie che funzionano, diagnosi che si rovesciano. Eppure anche chi guarisce ha bisogno di essere accompagnato. Perché la guarigione, sebbene desiderata, non è sempre semplice. C’è il corpo che non è più quello di prima. La mente che non si fida più del futuro. Il senso di colpa di chi ce l’ha fatta mentre altri no. E, soprattutto, la domanda: “Chi sono adesso?”
Lo psicologo, in questi casi, aiuta a integrare l’esperienza, a costruire un significato, a riscoprire una progettualità che non sia solo “sopravvivenza”, ma vita piena, autentica, trasformata.
 
Ma se la fine arriva, può avere senso
In alcuni percorsi, la guarigione fisica non è possibile. E anche lì lo psicologo è chiamato a esserci. Non più per progettare, ma per raccogliere, ricomporre, onorare.
Il lavoro psicologico, in fase terminale, diventa più sottile: si lavora con la memoria, con il lascito, con le immagini interiori.
Durante il mio tirocinio in psicodramma ho potuto osservare quanto sia potente (anche in età avanzata) “mettere in scena” relazioni irrisolte, traumi, dolori sospesi. In questi momenti, il perdono diventa spesso una chiave per lasciarsi andare con più pace.
 
Una voce che accompagna
Negli ultimi giorni di vita di mio nonno, mentre si trovava in precoma, i suoi battiti erano accelerati. Lo guidai con la voce: lo invitai a immaginarsi in un bosco, il suo luogo del cuore. E ad ascoltare, nella mente, il violino, il suo strumento preferito. Poco a poco, il respiro si calmò. E accadde qualcosa che non dimenticherò: accennò un sorriso.
In quel momento ho compreso che anche una semplice immagine, evocata con rispetto e cura, può diventare medicina. Una cura che non guarisce il corpo, ma accompagna l’anima.
 
Curare anche senza guarire, guarire anche senza curare
Le pratiche contemplative, di cui ho esperienza come insegnante di yoga e visualizzazione guidata, possono offrire strumenti efficaci per affrontare il dolore, la paura, il distacco.
Anche in contesti laici e clinici, queste tecniche aiutano la persona a centrarsi, ad accedere a stati interiori di calma e lucidità. In oncologia non si parla solo di malattia, ma di trasformazione profonda.
E lo psicologo ha il privilegio di accompagnare queste metamorfosi:
- quando si guarisce, per rinascere con consapevolezza
- quando si resta, per vivere con autenticità
- e quando si parte, per andarsene con dignità e pace interiore
 
Conclusione
Il lavoro dello psicologo in oncologia non è mai solo clinico: è profondamente umano. È un lavoro che tocca la pelle, il cuore, la storia della persona.
In alcuni casi, si accompagna verso la guarigione: a ricostruire, a rimettersi in piedi. In altri, si accompagna verso la fine: con rispetto, presenza e silenzio. Ma in entrambi i casi, lo psicologo c’è. Perché in oncologia la vita e la morte non sono in opposizione, ma spesso si guardano negli occhi. E in quello spazio, fragile e sacro, possiamo curare davvero.

Guarire è possibile. E quando non lo è, prendersi cura resta il gesto più umano che abbiamo.
 

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