Andare dallo psicologo?!? E mica sono matto!

Autore: Maria Rita D'Onofrio

Andare dallo psicologo?!? E mica sono matto! Follia è il ripetere continuamente la stessa azione e aspettarsi un risultato diverso. Se è così, quasi tutti noi siamo folli (dal film “Wall Street”)

“Cosa ha detto? Mi sarebbe utile uno psicologo? Ma come si permette? Mi prende per matto?”

“Mario va dallo psicologo? Oddio, non l’avrei mai detto!”

Per molti è proprio un’equazione: psicologo = medico dei matti, dove “matto” sta per “debole”, “incomprensibile”, “strampalato”, “sbagliato”, “disdicevole”, “squilibrato”, “demente”, “mentecatto”, “alienato”, “bizzarro”, “fuori di testa”, “pericoloso”, “inaffidabile”, “imprevedibile” e in ultima analisi “anormale”. Tutto il contrario, insomma, di “normale”, “assennato”, “lucido”, “razionale”, “affidabile”, “responsabile”, “realizzato” e via dicendo. Date queste premesse, per coloro che condividono questa mentalità aver bisogno di andare da uno psicologo rappresenta un vero e proprio stigma sociale, un vergognoso marchio a fuoco. 

In realtà quella descritta è una semplificazione che induce pesanti equivoci. Il concetto di “normale” è da prendere con le pinze. Cosa vuol dire “normale”? Al di là della valenza statistica di questo temine, “normale” è ciò che sta nella norma, appunto. La norma cos’è? In statistica, appunto, si definisce come il valore che compare più frequentemente in una data distribuzione. Nel senso comune, se sono in tanti a pensare/fare/dire qualcosa, quel qualcosa è considerato “normale”, e implicitamente giusto. Se ne deduce che se la maggior parte delle persone ritiene opportuno perseguitare e uccidere gli ebrei – tanto per fare un esempio – essere “normale” vuol dire essere un Hitleriano convinto!

Nel suo utilizzo corrente questa parola vuol dire tutto e niente, perché rappresenta un concetto assoluto, avulso dal contesto – e per questo irrealistico – e soprattutto non indica di per sé qualcosa di positivo, razionale, nobile, moralmente accettabile. Socialmente però assume proprio questa qualità positiva, e di conseguenza tutto ciò che è considerato “anormale” appare di per sé riprovevole e vergognoso. 

Se quindi una persona non è felice, ha una difficoltà che le impedisce di vivere pienamente la sua vita e di realizzare i suoi obiettivi, e per questo chiede aiuto ad uno psicoterapeuta, non è “normale”: si pone troppi problemi, spacca i capelli in quattro, fa filosofia, è viziata, è debole, è pazzoide. 

È proprio la funzione dello psicologo che viene completamente mistificata da questo pregiudizio. Uno psicoterapeuta – di qualsiasi indirizzo sia – aiuta le persone a costruire la capacità di autoosservarsi e di individuare dei nessi tra il loro disagio e i fattori che lo hanno determinato e lo mantengono nel presente, e di utilizzare al meglio le proprie risorse per neutralizzare quei fattori e innescare dei processi di cambiamento che permettano di adottare nuove modalità di vita più soddisfacenti.

Questo processo è applicabile sia in presenza di problemi clinicamente rilevanti che in presenza di bisogni meno strettamente “clinici”, più legati alla ricerca di maggiore benessere e consapevolezza. Quindi dallo psicoterapeuta ci vanno senz’altro le persone con veri e propri disturbi psichici gravi, ma ci vanno anche moltissime persone che stanno semplicemente vivendo una fase pesante della vita, un passaggio, una relazione difficoltosa, una situazione stressante, una difficoltà emotiva, un lutto, una decisione difficile: cose che capitano a tutti noi, che ci mettono a disagio ma non sono assolutamente da considerare disturbi psichici, e che possono essere risolte meglio e più velocemente con un aiuto qualificato. 

Negare il nostro disagio, far finta che non ci sia, raccontarci che possiamo risolvere tutto da soli perché “mica siamo pazzi!” si rivela in realtà la strada per ingigantire ogni problema. Dunque per affrontare ciò che non ci fa vivere a nostro agio, il primo rovesciamento della medaglia va compiuto abbandonando l’idea che lo psicologo sia una figura che lavora con chi “ha qualcosa che non va”, spogliandoci di un pregiudizio che agisce innanzitutto contro noi stessi. 

Il secondo passo sta nel comprendere che la psicoterapia rappresenta proprio la sospensione di qualsiasi giudizio, per intraprendere un viaggio che ci porta ad esplorare noi stessi, le nostre modalità di relazione e di affermazione, per acquisire una consapevolezza di sé e del nostro valore che può rendere migliore la nostra vita. I nostri disagi non vanno considerati come problemi o malfunzionamenti, ma come dinamiche che siamo abituati a mettere in atto e che non riusciamo a cogliere da soli. E allora, contro ogni pregiudizio, quello che i luoghi comuni non rivelano è che bisogna essere abbastanza sani per scegliere di rivolgersi ad uno psicologo!

Prossima tappa del nostro percorso tra i più comuni pregiudizi sullo Psicologo: “La gente sta bene come sta, ma loro devono scovare patologie dappertutto!”.

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