Languishing: l’emozione di chi non prova emozioni

Autore: Dott.ssa Rossella Tortaro

Languishing: l’emozione di chi non prova emozioni Nel corso dell’ultimo anno e mezzo sarà capitato a tutti, almeno una volta, di vivere un senso di “assenza di benessere”. La pandemia ci ha messi alla prova in tantissimi modi diversi, costringendoci a vivere una situazione di “riposo forzato” dalla nostra vita, dai nostri progetti, dalla socialità. Abbiamo dovuto ricalibrarci su dei ritmi completamente diversi, in molti casi estremamente lenti e dilatati, e le nostre priorità sono cambiate in quanto è venuto a mancare quel contorno che, fino a marzo 2020, riempiva le nostre giornate, dando un senso a tutto. 
Quando il Covid-19 è entrato nelle nostre vite, in maniera dirompente e inaspettata, le emozioni e gli stati d’animo più diffusi sono stati ansia, paura, rabbia. Gli studi ci raccontano che, ad oggi, la maggior parte della popolazione ha imparato a gestire tutto questo, ma ciò non significa che le persone stiano bene o siano addirittura felici.

Nel 2002 lo psicologo e sociologo Corey Keyes ha adottato per la prima volta il termine languishing per definire uno “stato di vuoto e stagnazione”. Non si tratta dunque di una vera e propria patologia, ma più di una condizione che si colloca a metà tra la depressione e il suo esatto opposto, il flourishing, ovvero uno stato di vitalità emozionale che fa “fiorire”la persona (Seligman e Csikszentmihaly, 2000).

Nel languishing, sebbene non si presenti alcun tipo di sintomatologia psicopatologica, si ha una completa assenza di benessere.

Ciò che molti di noi provano in questo momento, in particolare come reazione al periodo di pandemia così prolungato, non è depressione o tristezza, ma mancanza di gioia e di scopi. È come, scrive lo psicologo statunitense Grant, confondersi tra i giorni, come osservare le nostre vite attraverso un vetro appannato. Non siamo depressi ma, al tempo stesso, non stiamo funzionando al massimo delle nostre potenzialità. Secondo l’opinione dello stesso Grant, il languishing sarà l’emozione dominante del 2021. Le conseguenze di tale stato emotivo sono molteplici, come difficoltà di concentrazione e mancanza di motivazione,  e possono andare a influire sul rendimento lavorativo e scolastico, sulla socializzazione e sul mantenimento delle relazioni.

Nessuno è immune dal languishing ma Gillespie (2021) ha identificato dei fattori protettivi e dei fattori predisponenti. Secondo l’autore, le persone più abili nella gestione dello stress sarebbero meno inclini a “languire”, in quanto meno predisposte a farsi sopraffare dagli eventi. Al contrario, soggetti con predisposizione genetica a patologie psichiatriche, o con pregressi disturbi d’ansia o depressione, sarebbero più inclini a sviluppare tale stato emotivi. Anche i soggetti particolarmente estroversi potrebbero incorrere in questa emozione, in quanto potrebbero risentire particolarmente delle restrizioni e all’assenza di socialità dovute alla pandemia.

Forse ciò che rende ancora più complesso il languishing è l’impossibilità di dare un nome, di riconoscere, e, di conseguenza, gestire, questa assenza di benessere. Come nella gestione di tutte le altre emozioni, la consapevolezza di ciò che stiamo vivendo può aiutarci a farvi fronte, ad attraversare la tristezza, la rabbia, la paura, consci che ne usciremo, che finirà. Il languishing, invece, sembra non avere un inizio né una fine, e ciò rende incredibilmente faticoso sopportarlo.

Dunque cosa possiamo fare per stare meglio? 

Secondo Grant è importante dare un nome a ciò che sentiamo, concentrandoci sulle sensazioni e sulle emozioni, in quanto ci aiuta ad uscire dalla confusione.

L’autore invita anche a contestualizzare la situazione, a ricordarci che non siamo soli e che, nel mondo, moltissime persone stanno vivendo ciò che viviamo noi.

Altro fattore importante per uscire dal languishing è ricominciare ad avere degli obiettivi, partendo da quelli più piccoli, quotidiani: questo potrebbe aiutarci a ricominciare a coltivare l’entusiasmo.

Secondo Grant il rimedio migliore al languishing è il flow, ovvero lo stato di abbandono che proviamo quando siamo particolarmente presi dalle attività piacevoli. Dedicarsi con entusiasmo ai nostri progetti, ad un hobby o a qualunque altra cosa ci appassioni contrasta l’assenza di benessere e ci aiuta ad assumere una nuova prospettiva.

E se questi rimedi non funzionassero? Come sottolinea Grant, “non depresso non significa non essere in difficoltà. Non essere in bornout non significa essere entusiasti ed eccitati. Riconoscere che molti di noi vivono uno stato di languore è il primo passo per dare voce a questo quieto malessere e illuminare un percorso per uscire dal disagio”. Se ci rendiamo conto di non riuscire a far fronte a questo particolare periodo, è importante ricordare che la psicoterapia può aiutarci. Affidarci a uno specialista può essere la soluzione!   
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Bibliografia:
1. Betti, I. (2021). Non depressi, ma privi di gioia. L’emozione del 2021 è il “languishing”. Huffpost Italia.
2. Di Paola, I. (2021). Languishing e Covid-19, State of Mind
3. Gillespie, C. (2021). People Are ‘Languishing‘ as the COVID-19 Pandemic Continues. Here’s What That Means. Health.
4. Grant, A. (2021). There’s a Name for the Blah You’re Feeling: It’s Called Languishing. The New York Times.
5. Keyes, C. L. M. (2010). Change in Level of Positive Mental Health as a Predictor of Future Risk of Mental Illness. American Journal of Public Health, 100, 12, 2366-2371.
6. Keyes, C. L. M. (2002). The mental health continuum: From languishing to flourishing in life. Journal of Health and Behavior Research, 43, 207-222.
7. Pope, S. (2021). Not depressed but not flourishing. How ‘langioshing’ became the dominant felling of 2021, The National Post.

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