Il trauma psicologico e i suoi effetti psicofisici

Autore: Chiara Fabiani (Redazione)

Il trauma psicologico e i suoi effetti psicofisici Il concetto di trauma sta catturando l’attenzione di un numero sempre maggiore di studiosi di diverse discipline, i quali, cercando di inquadrare tale fenomeno e tentando di darne una definizione, continuano a studiarne le diverse sfaccettature.
Williams (2009, XV) dà una definizione ampia del trauma, lo definisce come un’esperienza “in grado di lacerare il senso di continuità”, si tratta quindi una componente intrinseca della vita: ogni essere umano sperimenterà, nel corso della sua esistenza, una qualche forma di trauma. Da un punto di vista funzionale, alla base dell’esperienza traumatica vi è un’incapacità nell’elaborare le componenti cognitive ed emotive scaturite dall’evento a causa dell’impatto disorganizzante che lo stesso esercita sull’individuo.
 
Cos’è che possiamo definire traumatico?
Roger Solomon, definisce traumatiche quelle “situazioni che sopraffanno il senso di vulnerabilità e di controllo dell’individuo. Si tratta di situazioni dove la persona sperimenta una paura tremenda, orrore e senso di impotenza di fronte alla minaccia percepita. Il trauma può comparire non solo dall’esperienza diretta di minaccia, ma anche assistendo ad eventi terribili”  (vedi).
Nonostante la percentuale di individui che nella vita si troveranno ad affrontare un evento potenzialmente traumatico sia alta, solo l’8% degli uomini e il 20% delle donne si troveranno a sviluppare un Disturbo da stress post – traumatico (Giannantonio, 2009; Kessler, Sonnega, Bromet, Huges & Nelson, 1995). Tale disturbo si caratterizza per la presenza di sintomi intrusivi associati all’evento, reazioni dissociative, sofferenza psicologica, evidenti reazioni fisiologiche, alterazioni negative di pensieri ed emozioni associate all’evento traumatico e alterazioni dell’arousal (APA, 2014, 314).
 
Le conseguenze del trauma sono molte, ad esempio, aumenta l’attività degli ormoni dello stress, vi è una diversa reattività da parte del sistema d’allarme del cervello e un’alterazione nel sistema che si occupa di distinguere le informazioni rilevanti da quelle irrilevanti (van der Kolk, 2015).
 
La difficoltà negli individui traumatizzati sta nel continuare a secernere gli ormoni dello stress in grandi quantità anche quando la fonte del pericolo è ormai estinta. “Idealmente il nostro sistema ormonale legato allo stress dovrebbe fornire una risposta immediata alla minaccia, per poi tornare rapidamente in equilibrio” (van der Kolk, 2015, 36). Negli individui con PTSD, ad esempio, ciò non avviene e le risposte di attacco, fuga e freezing persistono anche in assenza del pericolo. Quando un individuo traumatizzato viene esposto a immagini, suoni, odori o pensieri legati all’evento traumatico, si attiva l’area limbica del cervello, in particolare l’amigdala, la cui attivazione dà il via ad un’ampia produzione degli ormoni dello stress, i quali innalzano la pressione sanguigna, fanno aumentare il battito cardiaco e l’immissione di ossigeno per preparare l’organismo all’attacco o alla fuga. Nonostante alcuni individui neghino quanto accaduto e la mente si comporti come se non ci fosse nessun pericolo imminente, “il corpo registra la minaccia […] il cervello emotivo continua a lavorare e gli ormoni dello stress continuano a mandare segnali ai muscoli, perché si preparino all’azione o si immobilizzino nel collasso” (ivi, 55).
La mancata integrazione del trauma da parte dei pazienti con PTSD, porta quindi ad un’errata interpretazione degli stimoli. Altra difficoltà che inoltre questi individui riscontrano, è quella di non riuscire a neutralizzare questi stimoli che arrivano dall’ambiente e potersi di conseguenza concentrare su altri compiti. Per compensare questa tendenza, essi tendono a spegnersi e questo comporta una minor partecipazione alle attività quotidiane (Williams, 2009).
La mancata capacità di organizzare in sequenze logiche l’esperienza per poterla in un secondo momento elaborare, è dovuta allo spegnimento dell’emisfero sinistro del cervello. In una ricerca, infatti, si è potuto notare come durante i flashback, negli individui con PTSD aumenta l’attività dell’amigdala e dell’emisfero destro del cervello che, come sappiamo, è la parte intuitiva, emotiva, visiva, spaziale e tattile, mentre l’emisfero sinistro ed in particolare l’area di Broca non registravano attività. “La disattivazione del cervello sinistro ha un impatto diretto sulla capacità di organizzare l’esperienza in sequenze logiche e di tradurre i nostri sentimenti e percezioni dissociate in parole” (van del Kolk, 2015, 54). Quando le persone traumatizzate si imbattono in un trigger, ovvero qualunque segnale, evento o situazione che innesca una risposta traumatica, il loro emisfero destro reagisce come se l’evento stesse accadendo nel presente e si riattivano le stesse emozioni, cognizioni e sensazioni sperimentate durante l’evento stesso.
Oltre a disturbi di origine psicologica che possono derivare dall’esposizione ad un’esperienza traumatica, ad esempio ansia e depressione, si è notato che l’esposizione ad eventi traumatici, è correlata anche ad una serie di sintomatologie di natura fisica quali malattie cardiovascolari, problemi di riproduzione, problemi gastrointestinali, dolori muscoloscheletrici (D’Andrea, Sharma, Zelechoski & Spinazzola, 2011).
Tutto ciò che accade all’organismo e al corpo, ha un’influenza su come l’individuo vive la propria quotidianità e viceversa. “Per le persone che stanno rivivendo un trauma, niente ha senso; sono intrappolate in situazioni in cui si tratta sempre di vita o di morte, uno stato di paura paralizzante o di rabbia cieca. Mente e corpo sono costantemente attivati, come se queste persone fossero esposte ad un pericolo imminente” (van der Kolk, 2015, 110). Questo è quello che accade quando vi è un intenso arousal fisiologico. Durante queste attivazioni, l’individuo si trova all’infuori della così detta finestra di tolleranza. Siegel (2013) definisce la finestra di tolleranza come quel range all’interno del quale l’intensità di attivazione emotiva e fisiologica possono essere integrate senza modificare la funzionalità del sistema. Egli ritiene che durante l’arco della giornata, l’attivazione dell’individuo oscilli all’interno della zona ottimale tra i due estremi di hyperarousal e hypoarousal. Nella zona ottimale rientrano tutte quelle emozioni che l’individuo percepisce come tollerabili e che possono essere integrate (Corrigan, Fisher & Nutt, 2010).
 
Cosa sono l’hyperarousal e l’hypoarousal?
L’hyperarousal consiste in uno stato di attivazione non ottimale dovuta all’esposizione ad un evento che l’individuo percepisce come soverchiante. Si attivano di conseguenza le risposte dell’organismo allo stress, attivando l’asse ipotalamo-ipofisisurrene e vengono prodotte grandi quantità di ormoni quali catecolamine (adrenalina e noradrenalina) e cortisolo (Kendall-Tackett, 2000). Mentre l’hyperarousal è collegato all’attivazione del sistema nervoso simpatico, deducibile anche dalle reazioni fisiologiche che comporta, l’hypoarousal, dipende dall’attivazione del sistema nervoso parasimpatico. Quando si è in hypoarousal il sopravvissuto al trauma “può sentire che la vita non vale la pena di essere vissuta, che nulla ha importanza e che la morte sarebbe un sollievo. C’è una mancanza di energia e di entusiasmo, e l’assenza di distress che viene segnalata può coesistere con il pensiero suicida” (Corrigan et al., 2010, 3).

Nel caso in cui un evento traumatico scateni nella persona delle emozioni che la sopraffanno, e che quindi non è in grado di gestire, diventa difficile rimanere all’interno della zona ottimale in quanto vi è un’inibizione dell’attività corticale (Ogden, Minton & Pain, 2012). In questo caso si parla di disregolazione.
Gran parte del lavoro con il trauma quindi, consiste proprio nel cercare di riportare l’individuo all’interno della finestra di tolleranza, rendendo così possibile l’elaborazione e l’integrazione di eventi e memorie traumatiche.

______________________

Bibliografia e sitografia:
- American Psychiatric Association (APA) (2013), DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, tr. it. Raffaello Cortina, Milano, 2014.
- Corrigan, F.M., Fisher, J.J., & Nutt, D.J. (2010). Autonomic dysregulation and the Window of Tolerance model of the effects of complex emotional trauma. Journal of Psychopharmacology, 0(00), 1-9.
- D’Andrea, W., Sharma, R., Zelechoski, A.D., & Spinazzola, J. (2011). Physical Health Problems After Single Trauma Exposure: When Stress Takes Root in the Body. Journal of the American Psychiatric Nurses Association, 17(6), 378-392.
- Giannantonio, M. (2009). Psicotraumatologia. Fondamenti e strumenti operativi. Torino: Centro Scientifico Editore.
- Kendall-Tackett, A.K. (2000). Physiological Correlates of Childhood Abuse: Chronic Hyperarousal in PTSD, Depression and Irritable Bowel Syndrome. Child Abuse & Neglect, 24(6), 799-810.
- Kessler, R.C., Sonnega, A., Bromet, E., Hughes, M., & Nelson, C.B. (1995). Posttraumatic Stress Disorder in the National Comorbidity Survey. Archives of Geeneral Psychiatry, 52, 1048-1060.
- Ogden, P., Minton, K., & Pain, C. (2012). Il trauma e il corpo: manuale di psicoterapia sensomotoria. Sassari: Istituto di Scienze Cognitive.
- Siegel, D.J. (2013). La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale. Milano: Raffaello Cortina Editore.
- van der Kolk, B. (2015). Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche. Milano: Raffaello Cortina Editore.
- Williams, R. (Ed.). (2009). Trauma e relazioni: le prospettive scientifiche e cliniche contemporanee. Milano: Raffaello Cortina Editore.
https://www.rogermsolomon.com/trauma
 

Categorie correlate